293 vità dei capitani nazionali, rimanendo le navi straniere quasi totalmente gravate dei pesi sorgenti dal pilotaggio obbligatorio; sicché non bisogna meravigliarsi se, dove questo esiste, le corpo-razioni dei piloti possono dirsi quasi interamente finanziate dal denaro straniero, pur essendo particolarmente destinate al servizio degli interessi della Nazione. Ed è da deplorare che, benché la dottrina abbia manifestata la sua ripugnanza verso questo stato di cose assolutamente odioso, nessuna voce ufficiale si è ancora levata contro di esso, e, quel che è peggio, il metodo è divenuto il sistema normale, permesso e legalizzato dai trattati internazionali, oltre che consacrato dal battesimo della « Società delle Nazioni » nella prima manifestazione della sua attività nel dominio marittimo. Intendiamo parlare dello « Statuto sul regime internazionale dei porti marittimi », frutto di intese, avviate dalla S. d. N. nella IIa conferenza generale delle Comunicazioni e del Transito e concluse con la Convenzione firmata da 5 Stati a Ginevra nel dicembre 1923 (927). Questa convenzione riposa sui due grandi principi della reciprocità e óe\V eguaglianza di trattamento (art. 2, 4), ma ha un art. 11 così concepito : « Ogni Stato contrattante si riserva il diritto ci di organizzare o di regolare il pilotaggio come crede. Nel caso « in cui il pilotaggio è obbligatorio le tariffe ed i servizi resi <( saranno sottoposti alle disposizioni degli art. 2 e 4, ma ogni « Stato contraente potrà esentare dalVobbligo quelli dei propri « nazionali che possederanno le condizioni tecniche determi-