582 diffusa del pilota obbligatorio consigliere del capitano, potrebbe essere una buona ragione per crederlo. D’altro canto, i due citati articoli non dicono a chi, se al pilota o al capitano, appartenga la direzione della nave, mentre non si fa mistero che la teorica del rischio industriale potrebbe ben essere un fondamento giustificato del ripristino della responsabilità dell’armatore. Se si volesse, poi, applicare alla legislazione tedesca il rimedio suggerito dall’Hill, sarebbe illusorio attendersene un risultato positivo. Ed, infatti, se altrove, come comunemente si crede, basta, per rendere l’armatore responsabile dei fatti del pilota obbligatorio, considerare questo come un suo preposto (1850), senza inserirlo necessariamente fra i membri dell’equipaggio (1851), in Germania tale partito non avrebbe sufficiente vigore per capovolgere il principio sancito dall’art. 737 di quel codice, poiché, come precedentemente notammo (1852), una parte notevole della dottrina tedesca ammette l’irresponsabilità dell’armatore anche per i fatti del pilota facoltativo che non abbia assunto il comando della nave, per la considerazione che questo non faccia, in tal caso, parte dell’equipaggio. In siffatta situazione, la questione non sarebbe risolta togliendo al pilota la direzione della nave. Rimarrebbero, allora, due soluzioni : o fondare la responsabilità dell’armatore sul principio del rischio industriale, o ritenere il pilota obbligatorio o facoltativo un membro dell’equipaggio. Delle due, la prima è di gran lunga preferibile per la sua stringente logica ed equità, tanto piii che la seconda è in pieno contrasto con il carattere di discontinuità insito nelle funzioni del pilota (1853). (1850) Ciò, secondo noi, vale per il pilota facolt., non già per quello obbligai., che non potrebbe mai essere un preposto dell’armatore. V. retro, § 233. (1851) Secondo noi, il pilota, obblig.o facolt., non appartiene mai all’equipaggio. V. retro, § 249 seg. (1852) V. retro, § 315. (1853) V. retro, § 254.