310 vano allora delle vere e proprie norme giuridiche che imponessero l’uso del pilota : il capitano o padrone della nave, in tanto era tenuto verso i danneggiati, in quanto avesse trascurato di servirsi del pilota là dove la prudenza o l’uso gli imponevano di ricorrere alla di lui opera. La sua responsabilità non sorgeva, dunque, dalia violazione di un imperativo giuridico, ma dal fatto che egli, nel comandare la nave, non si era attenuto alla diligenza che si conviene ad un regolato capitano. Quando, in processo di tempo, lo sviluppo del traffico per mare fa sentire tutta la vitale necessità di imporre in date circostanze l’uso del pilota, alle regole basate sulle costumanze o sulla prudenza subentrano le norme giuridiche formali ed incominciano ad apparire le prime sanzioni penali, intese a colpire unicamente le contravvenzioni ad una legge avente già tutti i caratteri di una norma di ordine pubblico. Inizia i provvedimenti penali il Cap. XXV del Recesso redatto a Lubecca nel 1447, imponendo l’uso dei piloti ai padroni di navi che portano merci, sotto pena di un’ammenda di un marco d’oro (963) : disposizione riprodotta nel recesso del 1614, art. 18, tit. III. L’Ordinanza dei Paesi Bassi meridionali all’art. 9, tit- III dichiara obbligatorio l’uso del pilota e punisce il trasgressore coll’ammenda di 50 reali d’oro ed il risarcimento dei danni (964). Il cap. VII, parte V, del codice marittimo svedese di Carlo XI del 1667 obbliga il padrone della nave a servirsi del pilota pratico ovunque è necessario o d’uso, sotto pena, oltre al risarcimento dei danni verso i noleggiatori e gli armatori, di un’ammenda di 150 talleri, da dividersi fra i denunciatori, i querelanti ed i marinai poveri (965). I codici marittimi danesi di Federico II del 1561 (cap. LX) e di Cristiano V del 1683 (Cap. Ili, art. XXIII) fanno obbligo, nelle acque ove siano piloti pratici, di adoperarli a spese dei (963) V. retro, § § 16, 23. (964) V. retro, § § 19, 23. (965) V. retro, § § 20, 23.