— 36 — «, stenza alla Dalmazia che per essere una così sottile striscia « eli terre, non dava affidamento di robustezza alcuna » (1). Comunque, l’armata francese di Dalmazia era agli avamposti nel concetto napoleonico : essa doveva entrare da una parte in Bosnia, per Travnik e Mostar, mentre un altro corpo d’esercito, cioè quello di Corfù, sbarcato dal reame di Napoli sulle coste epirote, doveva marciare a rincalzo diritto su Salonicco e sulla Grecia. Nel vagheggiare e nell’apparecchiare codesti grandiosi disegni, compito essenziale del Marmont, dopo la pace di Til-sitt, doveva essere la massima cura e la massima sollecitudine riguardo l’assetto interno della Dalmazia, nel senso apparecchiarla a base dell’esercito. In questi frangenti, la questione delle autonomie locali doveva passare naturalmente in seconda linea. A senso delle istruzioni ricevute dal maresciallo Berthier, Marmont cercò subito di annodare stretti vincoli di amicizia con il Vlàdica del Montenegro, con la Bosnia e con l’Albania. (2) Base di codeste trattative doveva essere un atto di semplice e larga sottomissione con il principato di sicuro appoggio logistico con l’Albania in caso di future operazioni verso ¡’Oriente, ed infine una garanzia di cooperazione da parte della Bosnia, in vista di un progetto di diversione francese basato appunto su codesta provincia, da rivolgersi ai danni e sul fianco dell’Austria. Ma il Ylàdica montenegrino eluse abilmente e tenacemente ogni proposta della specie, senza il consenso del governo di Pietroburgo : il pascià dì Scutari, Ibrahim, nemico non velato della Francia, rifiutò ogni appoggio ai progetti del Marmont : infine i torbidi interni della Bosnia misero in forse la vita del console francese e dei messaggeri incaricati di avviare le trattative di alleanza di cui sopra è cenno. La contrarietà, a cagione di queste fallite imprese, non fu dissimulata dal Marmont e trovò libero sfogo soltanto (1) Vandal. — Tilsilt et Brfiirth, pag. 76. (2) Marmont. — Memoires, X, pag. 58.