— 51 — * * * A questa politica di assorbimento lento di popoli e di traffici ed alle sue conseguenze, si eleva però in antitesi una gente, simbolo vivo e gagliardo di tradizioni che non muoiono e che non si spezzano con tanta facilità e con tanta fortuna: questa gente ebbe sempre per mira il federalismo serbo. Quando il Bano Jellacich, nel 1848, chiamò alle armi in massa le popolazioni croate, in attitudine ostile all’Austria nell’idea di instaurare un grande regno federale Jugo-Slavo; i primi aiuti ed i primi incoraggiamenti in quest’opera, che fu grande nel concetto, ma sproporzionata ed infeconda nella pratica dei fatti, gli vennero dalla popolazione montene-grina. Presso a poco nello stesso tempo, cioè costituitosi appena il Governo provvisorio di Venezia, Nicolò Tommaseo, per singolare coincidenza di spiriti e di avvenimenti, scriveva al Vlàdica Pietro IT del Montenegro, ricordandogli le antiche memorie e le passate relazioni tra la Città delle lagune e la Zernagora: « Ella, Vescovo cristiano, Principe di popolo « libero, poeta e Slavo, deve al mondo l’esempio dell’uma-« nità più generosa, della più grande e nobile lealtà... La « giustizia di Dio veglia sui Dalmati e l’Europa tiene gli « occhi su di Lei » (1). L’una e l’altra di queste circostanze storiche non sono adunque che fenomeni necessari che si rinnovano, analoghi a quelli delle guerre dei Montenegrini contro i Francesi e gli Austriaci nei primi anni del secolo scorso, in nome delle antiche libertà illiriche. E questi fenomeni sono tanto degni di maggiore attenzione, in quanto la Dalmazia, a questo tempo, pareva sopita e più curante dei traffici e dei mercantili interessi che delle avite tradizioni liberali. (i) F.ettera di Nicolò Tommaseo al Vladica Pietro 11 del Montenegro. Gazzella di Veneziai, 3 aprile 1858. n. 77.