72 IL FOLKLORE E IL d’aNNUNZIO vigorose, viventi di vita naturale, nella loro tradizione genuina. Nessun’ affinità fra loro. C’ è un mondo di corrotti, di depravati, di vili, di abbietti, che è plebe della peggiore genia; e c’ è un mondo di ignari, di ingenui, di superstiziosi, di primitivi, volgo anch’ essi, ma agli antipodi degli altri: quelli volgo e plebe per corruzione, per decadimento, questi per continuità di usi e permanenza nei gradi più umili. Io parlo di questi ultimi, che si concedono all’arte in maniere meravigliose. Prima che il Poeta li facesse eterni, erano stati genericamente illustrati da demopsicologi e studiosi di varia maniera, onde facile sarebbe contrapporre agli accenni di lui pagine e pagine di libri e riviste. Ma io me ne asterrò, per amore di brevità, e per il timore di non saper discernere sempre la parte che il Poeta attinse dai libri e l’altra, non meno grande, che gli si rivelò mediante lo studio diretto del popolo. Preferisco richiamarmi di continuo alla tradizione viva, la quale, a chi la intenda, rivela fatti innumerevoli, mentre si serba muta per gli altri, non ostante la più sfarzosa ostentazione di erudizione e di dottrina; alla tradizione viva, infinitamente più ricca delle raccolte, e che ognuno può interrogare, dalla quale mosse certamente il Poeta, anche se ispirato, talvolta, da quadri del Michetti (le serpi, gli storpi, il voto, ecc.) o d’altro pittore, o da opere di scrittori precedenti, illustratori del folklore abruzzese.