IL FOLKLORE E IL D’ANNUNZIO Richiesto se quella sia sua figlia, evita di rispondere, e annovera, con sentore omerico, i suoi antenati “ eh’ ebber la virtù „. « E si nasce col ferro della mula di Foligno, segnato su i due polsi (ci segna il Tutelare, fin dal ventre, a quest’ arte) : e la genìa serpigna riconosce la nostra padronanza; e siamo immuni. E non so da quant’ anni è nella casa questo flauto d'osso di cervo, per l'incanto, ritrovato chi sa da quale de’ miei vecchi, in uno dei sepolcri che stanno su la via di Trasacco; ché il nostro ceppo è antico da quanto quello dei baroni ». Non è chi non senta nelle parole dell’ incantatore (tutte conformi alle tradizioni locali) un’ aria di mistero, quasi un senso sacerdotale: egli è l’erede, per lungo ordine di generazioni, di una virtù che è di famiglia, che non passa ad altri, che discende per li rami, attraverso il paganesimo e il cristianesimo, e forma gloria e privilegio riconosciuti. I serpi cedono al suo incanto e si lasciano prendere, e obbediscono, remissivi e sommessi. Perché egli, incantatore e figlio d’incantatore, «..........è frate del vento. Poco parla. Sa il fiato suo tenere. Piomba. Ha branca