IL FOLKLORE E IL D’ANNUNZIO 113 turatissima ripete altri versi, che sono anche popolari. Nell’ atto III, un altro ricordo di antica poesia popolare (lamento delle donne di Messina): « Ah che troppo è gran dolore... ». Fedele quanto era possibile s’è mantenuto il Poeta anche a certi dialoghi, o meglio, cicalecci di turbe, o più veramente di donne, che si ripetono, in determinate circostanze, quasi con le stesse parole, con versi a rime o ad assonanze riecheggianti l’abuso che ne fa il popolo. Esempio classico quello della scena III dell’atto I, (interlocutrici: Ornella, Splendore, e Favetta) dove meglio son visibili i caratteri dei cicalecci. A siffatti dialoghi, che ricordano un poco i canti amebei latini, per il procedere a proverbi e a sentenze, si possono avvicinare certi altri, più allegorici che sentenziosi, in uso in alcune circostanze speciali e tradizionali. Se n’ ha un esempio cospicuo nella scena quarta dell’ atto primo, dove le portatrici di canestre chiedono di entrare nella casa degli sposi, sbarrata dalla zona simbolica, per fare l’offerta augurale. Secondo l’usanza di tanti paesi, prima di entrare debbono sostenere un dialogo e ottenere il permesso. Ecco il dialogo tra la prima donatrice, Teodula di Cinzia, da una parte, e, dall’ altra, le due sorelle dello sposo, Favetta e Ornella, che s’alternano nelle risposte intermedie, mentre in principio e in Crocioni - Problemi fondamentali del folklore. 8