IL FOLKLORE E IL D’ANNUNZIO 71 genio del suo sangue e della sua stirpe. Se il Notturno avesse un campo al suo svolgimento, quello sarebbe la terra d’Abruzzo; se la Musa errabonda del poeta momentaneamente cieco dovesse fermarsi in un punto, sosterebbe nella patria di lui, tra la Maiella e il mare, in mezzo all’umile gente, cura precipua della sua arte. Dominatore di lui, dell’ambiente, della scena, il maleficio imperante. Riflessioni analoghe potremmo fare per altre opere del D’Annunzio, compresa la stessa Francesca, di tema così remoto e diverso. Ma non occorre. Facciamo, piuttosto, una distinzione. Io ho parlato, in principio, di popolino e di plebe, intendendo riferirmi a quelli che di popolo sono nati, non di decaduti morali. Giovanni Episcopo, ad esempio, che pure bazzica un basso e oscuro mondo morale, studiato direttamente dal Poeta (egli stesso lo asserisce nella dedica del libro a Matilde Serao), in una " mortuaria taverna „ della via Alessandrina di Roma, Giovanni Episcopo, fiacco e abulico, obbrobrio degli uomini e di se stesso, spregiato e deriso, disceso agli ultimi gradini dell’abbie-zione, non ha alcuna parentela con Lazzaro di Roio, il violento rapace della Figlia di lorio, e tanto meno con Edia Fura, il serparo della Fiaccola sotto il moggio: quegli è un’ ombra d’uomo, un decaduto morale, ignominiosamente uscito dalle file dove era inquadrato, questi sono persone