PAOLO DE BERNARDO E I PRIMORDI DELL’UMANESIMO IN VENEZIA 91 Queste notizie ce le danno le noterelle sparse ai margini della prima deca di Livio, che Paolo incominciò ad esemplare il i° Settembre. E l’unico codice che di lui ci resta, ma basta per testimoniare a quale grado fosse giunto il Nostro, con quella educazione quasi autodidatta, del resto allora spesso comune, anche in que-st’altra attività del movimento umanistico, la raccolta cioè, la trascrizione, la collazione e l’esegesi dei testi classici. 11 codice, che esamineremo più a fondo, è ora il 5722 dei latini nella Nazionale di Parigi, e anche nell’aspetto esteriore, nella calligrafìa gotica tondeggiante e chiara, rivela cura e pratica. Ma sopratutto importante è la collazione su più codici, che egli curò espressamente con chiaro senso della sua importanza, come dice alla fine del lungo explicit (II 46). E non una semplice collazione meccanica (che si rivela continua e diligente), ma un principio di critica nella scelta delle varianti ; le note marginali, quando non chiariscano o riassumano, citano passi e riferimenti. Del resto di questa coscienza nell’esemplare i testi, di un gusto ormai raffinato anche dell’aspetto esteriore della scrittura (così sviluppato nel Petrarca), fanno fede le parole che egli dice all’Alberti, parlando di un codice con alcune opere di Cicerone da lui trascritte, « ex. rusticana littera, non qualem dedala manus tua exarare iam didicit, incomptus et illegalis, non ausim coruptus dicere, partim vicio exemplarium, partim inscicia mea » (Ep. 26). Dopo brevi note cronologiche su Livio, nell’explicit ci avverte che l’opera fu trascritta fra lo strepito delle armi nella guerra tra Padova e Venezia. Il Carrarese con tanta pertinacia cercava di ingrandire, con quanto Venezia cercava di impedirlo : mischiandosi Francesco da Carrara in una questione del principato d’Aquileja, colse Venezia l’occasione per allearsi alla lega udinese, contraria al Patriarca, con lo Scaligero, mentre a fianco del Carrarese scendeva il Visconti. Questi riuscirono a disfare la Signoria scaligera, onde non fu difficile nel 1388 alla Repubblica di volgerli contro il Carrarese : Padova passò al Visconti, mentre i veneziani riottenevano il bellunese e il trevisano. « Opera Martis » contiene il Livio, incominciato e finito (nota con significativa insistenza il Nostro) « die Martis », quasi a simbolo della guerra, che questa volta il de Bernardo non detesta, e si capisce : « nobis est Tervisium resti-tutum, qui tunc detinebatur per Carrariensem hostem humani generis». L’odio pel Carrarese, che aveva cercato di eludere anche