PAOLO DE BERNARDO E I PRIMORDI DELL’UMANESIMO IN VENEZIA 145 come loro, di sentirsi cosi quasi con loro immedesimato — sentimento che, in un ordine più generale di idee, esprimeva il Petrarca, quando diceva : « Dum nobis aliquid, ratione vel experientia duce, persuasimus, sed non piene, sed ex insperato viri cuiuspiam illustris auctoritas accedat, efficitur ut quod erat opinio, scientia certa sit » (S. IV, i). Ciononostante il problema della personalità di chi scriveva era sentito dai maggiori, e il Petrarca non vuole sacrificarla1). Il de Bernardo, come i minori, dato anche, ripetiamo, che lo scrivere latino era quasi una necessità (se pur più barbaro, era la lingua scritta ufficiale nella cancelleria), non si pone mai la questione della imitazione e della personalità: egli tratta il latino come strumento vivo e adeguato di espressione, e se vi pone delle eleganze, se ricerca la frase, se introduce versi o frasi classiche o citazioni, lo fa come uno che cerca di scriver meglio e di perfezionare la sua lingua, e non pensa che ne perda con ciò la immediatezza e personalità del suo scritto. Che le lettere fossero coscientemente considerate sotto l’aspetto formale, ma anche però sotto l’aspetto del contenuto, lo provano certe espressioni delle lettere stesse del Petrarca, che rivelano un dualismo psicologicamente spiegabilissimo, e che è implicito in tanta produzione letteraria. Così quando riscrive al doge Dandolo per la pace tra Venezia e Genova (F. XVIII, 16), gli ricorda la « elegantissima e gravissima sua risposta » ; al de Bernardo risponde : Ho piacere d’aver scherzato : « bonam tibi epistolam ludo extorsi » (S. X. 3, Ep. 4). Così il de Bernardo nell’Ep. 23 : « molte cose hai descritto con eleganza.... tuttavia di più mi sembra che tu ne abbia deplorato con tragico' stile.... » Della preoccupazione del contenuto, ma insieme del valore formale è indizio la conservazione delle lettere 7-9, che parlano degli intimi avvenimenti tra lui e il Casalorzio. Non può avvenire dunque del tutto che in queste epistole, invece di cose, troviamo delle parole. C’era dunque una preoccupazione formale, ma insieme una necessità di questa corrispondenza : abbiamo così sotto una forma modellata e generalmente impersonale, un contenuto personale e concreto, il quale naturalmente è in tale rapporto con la sua espressione, da modificare quella e da esserne modificato. L’imitazione 4) Sabbadini, 11 metodo ecc., pagg. 62-64. Diceva Petrarca : « Curandum imitatori ut quod scribit simile, non idem sit. » (F. I, 7). Biblioteca dell' « Archivum Romanicum » - Serie I. io