146 LINO LAZZARINI di Seneca portava con sè, oltre la frase, un pensiero suo sentenzioso e di carattere generale : onde, se il concetto personale era il punto di partenza, si giungeva a universalizzare o meglio a generalizzare il medesimo attraverso il pensiero antico. Ogni idea contingente e particolare veniva così riflessa, ingrandita e nel medesimo tempo sbiadita neH’affermazione sentenziosa generale classica, come se nell’autorità degli antichi il pensiero acquistasse una sua sicurezza e un suo valore di affermazione universale. Processo che si ripete sia nell’insieme di una lettera, dove dalle premesse particolari si passa a conclusioni generali, sia nelle singole affermazioni, dove, espresso o sottinteso, c’ è il movente particolare e personale che si atteggia nella sentenziosità di una frase generica1). Le cose dunque ci sono, ma conviene cercarle e spesso intuirle. Tuttavia l’essere l’epistolografia imitazione di un «genere», portava a limitare, in questa imitazione, anche i pensieri, ad assumerne certi non spontanei o non sentiti ; fatto che in un processo di tempo porterà alla indifferenza di questo contenuto e al suo riprodursi per tradizione e moda letteraria. Ciò spiega, per esempio, la scarsezza di certe notizie e particolari : mai nel de Bernardo un cenno ai luoghi visitati, ai personaggi che conosceva, alla letteratura contemporanea e specialmente volgare. Invece il ricorrere di certi « temi » o di certe « note » tradizionali : l’amicizia, l’uso del voi, la nobiltà, la noia e la difficoltà dello scrivere, il pessimismo, il disprezzo per la vita comune e volgare, la richiesta e il desiderio di corrispondenza. Rispetto a questo tuttavia noi dobbiamo considerare che la lettera per sua natura è portata a considerare lo stato d’animo più che i fatti esteriori ; siamo poi ancora nell’epistolografia preumanistica, agli inizi, col de Bernardo: c’è quindi il peso di una minor tradizione, e la moda non aveva ancora tolto alla cosa tutta la sua fre- *) Una riprova di ciò è la lettera di Giovanni Dondi al fratello Gabriele (Cod. Vat. lat. 5223). In essa, con lungo discorso, dice di non aver avuto l’indifferenza che credeva di fronte alla « calida hominis astucia », di colui da cui nulla si aspettava di male. Ringrazia tuttavia Iddio e Seneca « animorum re-gule viteque magistro ». — C’è anche qui un motivo reale che dà origine a considerazioni generiche e sentenziose, che esortano all’àTiàS-sia, e dalle quali ben poco di preciso possiamo ricavare.