6o LINO LAZZARINI questo fu il primo vero tentativo di corrispondenza con intenzione anche formale e letteraria. Egli è pieno di gratitudine per Benin-tendi : « Felice mi reputo per tanta benignità, felice che un tanto e tale uomo.... io poveretto ho mosso a scrivere, e, ciò che non diminuì la felicità, pare che tu mi abbia fatto degno dello stile con cui sei uso scrivere ai dotti e celebri per ingegno..,. Grande è la tua carità, immensa la bontà in te innata». E vorrebbe rispondere « per sollievo di scambievole gara », ma dissimile è il certame. Tuttavia « mi danno fiducia la tua umanità e i tuoi costumi, sotto ai quali c’ è sicurezza di profittare.... e la penna, che non ancora oserei prendere di fronte ad alcuno, e giustamente, sarò lieto incominciar a prendere teco con la speranza di giovamento.... ». Farà come lo scolaro che non teme il maestro : « Questo fa la riverenza dell’ insegnamento, al quale gli studenti votano le loro opere e non dubitano di aprire la loro ignoranza all’ insegnante ; questo fa un grande affetto al sapere, questo la speranza accenna di rimediare ai difetti.... ». Inizia dunque con pieno quel sentimento che ispirava l’epistolografia contemporanea : gara di abilità stilistica, giustificata dal concetto del miglioramento spirituale (idea tolta da Cicerone e Seneca, ma ben adatta al mondo medievale), mossa dal novello amore che faceva indossare con gioia le spoglie tanto tempo obliate della romanità ; e anche da un più profondo forse bisogno. È indiscutibile, qual si sia il fatto a cui si riferisce la lettera, un senso d’ira e amarezza verso l’ingiustizia e la crudeltà che si ammanta in un amaro stoicismo e in retoriche invocazioni alla virtù : « Ormai ciascuno è Dio per sè stesso, e l’oro che è riposto nella cassa, dove sembrano esser state cacciate dentro e Pagg- 78. 80 dell’estr.), e questo fu forse il fatto che fece tener sospetta tutta la Curia, che il Benintendi difende. Ma i due furono impiccati (Lazzarini, op. cit., pag, 102) e non morirono in carcere, come di uno fa intendere chiaramente il De Bernardo. Che questa lettera sia risposta a quella del Benintendi dunqne non regge, se pur non si ammette che il De Bernardo, commiserata la sorte di quei compagni, passasse a deplorare la troppo violenta repressione della congiura. Ma perchè non si deve intendere « fratres » in senso proprio ? (Notisi l’espressione : morienti alteri). Non si potrebbe trattare della disgraziata fine di due fratelli ? Nulla tuttavia ci dicono i documenti e le cronache ; solamente la datazione da Ferrara (poiché là è probabile si trovasse nel ’55) ci fanno credere che si tratti di fatti riferentisi al periodo immediatamente posteriore alla congiura. Certo è anteriore al ’60 (Cfr. pag. 64 n. 6).