PAOLO DE BERNARDO E I PRIMORDI DELL’UMANESIMO IN VENEZIA gno di 10,000 fiorini d’oro prestati da Cane ai Gonzaga, restituibili alla « completionem agendorum felicis unionis et lige existentis inter predictum dominum ducem et comune Veneciarum ac eundem d. Canem, dictos d. Mantue et alios colligatos » ‘). Dopo l’incursione del Doria fin presso le lagune, quando il Dandolo per l’ultima volta era corso alla difesa della sua città, dopo l’elezione del Faliero e la sconfitta della Sapienza (tempo in cui Paolo era a Venezia) 8), dopo la decapitazione del Doge e la conclusione della pace, abbiamo notizia del de Bernardo ai primi accenni della rottura con 1’ Ungherese. Ma intanto una nuova attività egli aveva iniziata (doveva avere circa 24 anni) : la corrispondenza epistolare. Questo ce lo dice una lettera, tanto chiara per un lato quanto è oscura ad interpretarsi per un altro, data da Ferrara il 14 novembre e diretta, in risposta, al Benintendi (Ep. 1) 3). Tuttavia da essa ricaviamo, e questo ci importa, che f) A. S. V. Patti, V, c. 130. 2) A. S. V. Test. Rafaino Caresini, b. 483, reg. c. 29 Z/.-30. (Test, di Marco Dandolo figlio del fu Giovanni Dandolo. Teste P. d. B. notarius Curie maioris). 3) Il Voigt (Die Briefsamlungen ecc., pagg. 52-54), il Casini (op. cit., Pag- 338), il Bellemo (La vita e i tempi ecc., pag. 275-6) la riferiscono come risposta alla lettera del Cancelliere ai notai del 9 settembre 1355 (V. 7, ed. Bas.), traendone la conseguenza di una persecuzione violenta e sanguinosa dei notai della Curia. Abbiamo già visto che la lettera del Benintendi parla di calunnie e nulla più. La lettera del De Bernardo è veramente ¡11 risposta a questa? Per il tempo andrebbe bene. La soprascritta dice : « Epistula.... responsiva ad quandam.... cuius initium : uta me aliquid audias etc ». Questo non è l’inizio di quella del cancelliere, ma d'altronde possono essere le parole con cui gli inviava copia della lettera (quest’uso è testimoniato anche dall’ep. 10) ; né le espressioni seguenti chiariscono se si tratti di una lettera inviata a lui particolarmente. Ma debbono escludere che si tratti della risposta le parole stesse del De Bernardo : quanto, dice, al « caso infelice di quei fratelli, che, benché noto, descrivesti con eleganza e umanità.... abbastanza mi pare— debba essere deplorato____ Molto mi cruccia l’atrocità di alcuni, che, pur chiusi nella pelle d’uomini, imitano ogni atrocità e ferinità ... O feroce crudeltà, o razza implacabile, o infamia della nostra età, o leggi inique, o errore irrimediabile ! Uomini retti e giusti, scivolati per errore della fortuna.... nel Tartaro, non dirò nel carcere, cacciati, venivano tenuti lontano dall’aspetto degli uomini, e all’uno morente veniva negata, o vergogna, l’entrata dei suoi che gli chiudessero gli occhi !... Avendo smembrato tutte le loro sostanze, non solo il sangue, ma anche il cadavere di quelli si sono spartiti ! » Di compagni qui non può trattarsi: due notai soli erano stati giustiziati (Lazzarini, Marino Faliero ecc.,