PAOLO DE BERNARDO E I PRIMORDI DELL’UMANESIMO IN VENEZIA 43 e al Doge — a Venezia insomma —, sia per la parte da lui avutavi, sentiamo il Petrarca vivissimamente partecipare, pieno di sdegno verso i ribelli, pieno di ammirazione per la giusta causa della Serenissima. E che gioia, quando, verso l’ora sesta del quattro di giugno, mentre coll’Arcivescovo di Patrasso *) alla finestra guardava lontano, sulla marina, vede spuntare da lungi una galea, che rapida s’avvicina, lieta di rami frondenti, mentre una schiera di giovani coronati salutava la patria alte agitando le vittoriose bandiere ! (S IV 3). E con quale orgoglio descrive all’amico Pietro Da Bologna la gioia di quella « augustissima città dei veneti, che sola oggi è dimora della libertà, della pace e della giustizia, il solo rifugio dei buoni, il solo porto che possano tentare le navi sbattute dalle tempeste tiranniche e guerresche che fremono intorno a quelli che bramano vivere bene, città ricca d’oro, ma più ricca di fama, potente di mezzi, ma più potente per la virtù, stabilita su fondamenta di solidi marmi, ma anche su un più solido fondamento di civile concordia, cinta dalle onde salse, ma sicura per più saggi consigli »! E gli descrive minutamente i ringraziamenti a Dio nella Basilica, le feste meravigliose, ch’egli ammirò dalla loggia di S. Marco, sotto i cavalli dorati : « Siccome sovente altre volte aveva fatto, cortese il Doge degnossi d’ invitarmi.... e ivi volle eh’ io mi sedessi alla sua destra.... ». Ma a questi avvenimenti gloriosi per Venezia e il Petrarca, doveva seguire un rapido e triste mutarsi delle cose. Uomo fastoso era il Celsi, più a somiglianzà di principe che di doge : splendide le cavalcate per la città, splendida la casa, rallegrata da uccelli e bestie rare, lussuose le vesti e gli adornamenti. Il Petrarca, giocando sul nome, lo chiamava & Et cognomine Celsus et re cel-sior » (S III 9), « Laurentius vere Celsus » (S IV 3). Ma questo doveva essergli fatale. Usando egli cavalcare facendosi precedere da uno con una verghetta in mano, si avvicinò a costui un giorno uno dei Consiglieri, la prese e senza parola la spezzò. Anche un simbolo, forse più indizio di vanità che di veri propositi, turbava il sonno dei Dieci, che non avevano ancora cessato di occuparsi e preoccuparsi degli ultimi strascichi della congiura Falier. E si iniziò un principio di istruttoria. Tanto ne fu percosso il Celsi, che *) Bartolomeo Carbone De’ Papazzurri. Cfr. Vattasso, Del Petrarca e di alcuni suoi amici. Roma, 1904, pagg. 16-17.