PAOLO DE BERNARDO E I PRIMORDI DELL’UMANESIMO IN VENEZIA 39 libri dopo la morte per costituire una pubblica biblioteca, colla speranza del suo incremento, domandando in compenso l’uso di una « non magnam sed honestam domum », dove sperava di poter dimorare « si bono modo possit ; de hoc enim non est ad plenum certus propter multas rerum difficultates ». La Repubblica accettava tutte le clausole, impegnandosi a custodire i libri, con deliberazione del 4 settembre. Il contratto lasciava libero il Petrarca, quando non si verificasse la condizione della dimora : quindi alla sua morte i libri non passarono a Venezia ; in ogni caso, mentre si preparava la guerra di Chioggia, i codici, che si trovavano ad Arquà, non sarebbero stati consegnati dal Carrarese. Il silenzio del testamento del Petrarca è un altro indizio ch’egli considerava l’accordo come scaduto. Un’altra donazione, quella del Cardinale Bes-sarione, doveva far sorgere la biblioteca Marciana 1). Gli fu data una casa sulla Riva degli Schiavoni, « saluberrima domus » (S. Ili 1), il palazzo Molin dalle due torri, sulla cui area oggi sorge la caserma del Sepolcro 2). E a rallegrarla, fuggendo nella primavera del ’63 la peste, vennero da Napoli il Boccaccio con Leonzio Pilato, l’irsuto e strano calabrese dotto di greco, che, partito dopo tre mesi l’autore del Decamerone, restò presso il Petrarca, desideroso d’imparare quel greco che le poche lezioni di Barlaam non gli avevano certo permesso di conoscere. Il Poeta l’aveva anche incaricato di tradurgli Omero, a sue spese: ma l’irrequieta natura dell’ italo-greco lo fecero volgere all’ Oriente, per poi ridesiderare F Italia, dove ritornando con un carico di codici, venne a morte : « ed ora pensando a quella nube di tristezza che il volto di continuo gli ottenebrava, intendo come presagio esso fosse del fulmine *) Cfr. N. Barozzi, Petrarca e Venezia (in Petrarca e Venezia, Ven., 1874, pagg. 283-93) > E. Bertanza, F. P. e la biblioteca di S. Marco in La Scintilla, Rivista letteraria settimanale. A. V, N. 50, A. VI, N. 3, 7, 8, 10, 12, 16, 19, 20, 22, 26 ; P. de Nolhac, P. et l’humanisme. Paris, 1907, 2 Ed., pagine 93 100. 2) Nella S II 3 (9 aprile ’63) ricorda le due torri dell’« ingentem domum » che a lui « dedicavit libera et liberalis hec civitas », a cui in quel momento era salito per assistere alla partenza dal molo marmoreo di una galea, al grido caratteristico dei marinai, fra il battere del vento e del mare nella notte burrascosa. Per le sue abitudini pomeridiane cfr. S IV 4, dove parla del movimento della città nel dì dell’Ascensione.