148 LINO LAZZARINI * * * Dei temi cari all’epistolografia umanistica e cari all’antichità, due ritornano specialmente nel de Bernardo : quello dell’amicizia e quello della tristizia di tutte le cose e del proprio stato infelice, connessi, come vedremo, l’un l’altro. Il lagno delle proprie condizioni, lo abbiamo già tante volte osservato, si ripete con monotonia in quasi tutte le lettere, e viene, al solito, generalizzato in una visione pessimistica della vita. Realmente le condizioni dei notai impiegati di curia non erano le più liete per la instabilità del loro ufficio e gli scarsi proventi. S’aggiunga un lavoro, come diceva lo stesso de Bernardo, non confacente a quello che sarebbe il suo desiderio, l’aspirazione a un tranquillo « otium », di vita modesta da poter consacrare agli studi ; questa discordanza irritava anche Giovanni da Ravenna. « Servili offici, servile lavoro », lo chiama sempre il de Bernardo, privo ormai di quell’entusiasmo che aveva per esempio il Benintendi : erano salariati, e si sentivano degli estranei. Di questa scontentezza però il de Bernardo stesso vide la vera causa : la natura nostra, che in qualunque stato non può esser contenta (Ep. 5, 22). E forse per l’ideale suo di studioso e d’artista c’era un’altra intima causa di amarezza, che noi possiamo intuire quando ci dice e ci ripete di non aver potuto mai comporre un verso, di non poter degnamente gareggiare, di non essere che un ammiratore dei grandi (Ep. 1, 15, 6, 19, 26): egli aveva la forza cioè di sentire la bellezza della poesia e la grandezza del genio (al Petrarca si sentiva avvinto da non so quale attrazione) senza aver la capacità e la liberazione di creare veramente. Le lettere egli le considerava « sacrum commer-cium » (Ep. 19); ma le grandi opere non si possono ottenere « sine numine divum » (Ep. 6), senza « Apollo! » (Ep. 19). A ciò si aggiunge la mancanza di due altri conforti : una viva religiosità e la fede nella patria ‘). Il Benintendi nella lettera ai notai (V. 7 Ed. Bas.) e negli altri suoi scritti mostra vivo il senso della religiosità : è l’uomo che vuole sopratutto la « virtus », lo abbiamo visto, che vuole l’arte mezzo alla moralità, pel bene degli *) Citati anche dal Rossi (La formazione ecc. pag. 25) come i sentimenti che in quest’epoca venivano da altri sostituiti.