P REFAZIONE XXXV Gaudenzi però accenna a due altri capisaldi, forse più probativi, sebbene non egualmente apprezzabili; il primo dei quali, considerando l’insieme delle scritture (opinione accolta anche dal Besta) una ridicola mistificazione, pare piuttosto frutto di una affrettata esagerazione: il secondo invece, che rileva le afferenze con il momento politico-religioso, del quale Iacopo Venetico e il vescovo Mosè furono importanti attori, ha qualche ragionevole verosimiglianza. Già il Simonsfeld aveva rilevato i riflessi dei dibattiti religiosi della metà del sec. xn nello stesso Chronicon'. e la eco del famigerato costituto Costantiniano, allora messo in causa, è abbastanza esplicita per non essere significativa. Se non che una siffatta rievocazione trova ospitalità non in tutte le scritture, ma soltanto nei frammenti della seconda edizione, escluse, s’intende, le immediate addizioni a questa connesse: e, se si considera che il frammento longiniano-eracliano degenera in una arruffata disquisizione teologale, che il codice Vaticano (V) riproduce con maggior interezza (II, 4), non è improprio un riavvicinamento alla citata lettera del presunto filosofo, che si presenta con analoga progressione concettuale. Sia la esposizione storica, sia la dialettica dei filosofemi teologici sono collocate e nella lettera e nel nucleo fondamentale della seconda edizione in posizione di singolare analogia, tanto da giustificare l’eventualità di un accostamento: ma questo non può essere esteso oltre i limiti di quello, perchè le riminiscenze, che si potrebbero segnalare in altre scritture, stanno in funzione diretta di questo, come sua derivazione, spoglie di quella virtuosità dialettica, che è sua specifica prerogativa. Io