— 93 — statare che la luce sfolgorante dell’arte, onde la basilica eu-frasiana si abbellì, deve forzatamente testimoniare le ganzare scismatiche istriane. Infatti con Eufrasio la chiesa pa-rentina prese posizione decisiva in quello che fu il malaugurato scisma dei Tre Capitoli. Teodoro Ascida, vescovo di Cesarea, por vendicarsi, che da Roma e da Giustiniano, per opera del diacono Pelagio, nuhzio a Costantinopoli, eran state condannate le dottrine origenistiche, di cui era fautore, sotto pretesto che con il suo espediente si sarebbero riconciliati con la Chiesa gli Acefali d’Africa, cui apparteneva, ma con il celato intento di sobbillare nuove liti e nuovi scismi, persuase Giustiniano a condannare i tre capitoli, cioè gli opuscoli nestoriani di Teodoro vescovo di Mopsuesta, gli scritti di Teodoreto, vescovo di Ciro, contro i dodici anatematismi di S. Cirillo alessandrino, e la lettera d’Iba, vescovo di Odessa a -Maria Persiano. Siffatti opuscoli non erano stati esplicitamente condannati dal concilio di Calcèdonia del 451, perchè i loro autori, prima di partecipare al concilio, s’erano indotti a condannare le dottrine di Nestorio, e quindi implicitamente e necessariamente anche i propri opuscoli. Era pertanto paruto superfluo ai Padri Calcedonesi di condannare specificatamente tali opuscoli, noti poi col nome di tre capitoli. L’imperatore Giustiniano, che gongolava quando poteva farla da teologo, nel 544, commettendo un abuso di potere, seguì il consiglio di Teodoro Ascida ed emanò l'inutile condanna dei tre capitoli. Il Papa Vigilio, insieme ai vescovi della chiesa latina, si oppose a tal condanna di Giustiniano, siccome ad un atto, che eccedeva la sfera d’azione dell’imperatore; ma nel 548, con legittimo atto, sorto dalla sollecitudine di non dare ansa a querele ed a scismi novelli nella chiesa d’Oriente e di togliere gli equivoci in quella di Occidente, condannò pur egli i tre capitoli. Volle anche opporre così un atto di sua giurisdizione all’ingerenza indebita di Giustiniano. Ma aggiunse contro gl’intriganti le Significantissime parole «salva sempre l’autorità del concilio calcedonese.» Siffatta condanna fu interpretata a torto quale un’accondiscendenza del pontefice alla corte di Bisanzio e una violazione dell’autorità