— 136 — baro, ignorante, duro e dedito ai vizi e in primo luogo alla lussuria, alla crapula e al vino. Bene li descriveva il capitano di Raspo, Giacomo Renier, nella sua relazione al Senato, del 30 giugno 1594! Insieme con questa massa di popolo straniero, molto inclinato ad un cattolicismo foggiato a scisma grecoortodosso, fu necessario che s’introducessero anche preti slavi, o che si acconciassero a far loro da preti, ordinandi presi dagli Slavi già esistenti in Istria. Già il vescovo Cesare de Noris nella seconda metà del sec. XVI lamentava la penuria di preti indigeni e il dover ricorrere altrove per aver sacerdoti sì per la popolazione istriana che per la popolazione slava sorvenuta. Dai libri delle visite canoniche fra il 1601 e il 1710 (dunque per il lasso di ben più che un secolo) si rileva dalla bocca degli stessi vescovi Lippomano, Tritonio, Del Giudice, Adelasio e Vaira, che siffatti preti erano ignorantissimi, senza libri, disonesti, dissoluti, e tanto ignoranti, che fuori di quel po’ di scrittura cirilliana, non avevano neppure „ cognizione di ciò che nel s. Altare si sacrifica “ come scrive il Vaira, dotto canonista. Siffatto stato di cose gittava il disonore su Parenzo e il cruccio più tormentoso nel cuore di vescovi sì dotti e illustri, venuti dall’Italia, dove il clero nei secoli XVI, XVII e XVIII era in testa al grande risorgimento degli studi seri. Da ciò il grande opprimente lavoro di riforma tentato e operato dai vescovi parentini. Si ordinarono le conferenze sul tipo di quelle di s. Carlo Borromeo. Il Lippomano nel 1605 le stabiliva ogni mese per discutere a Parenzo casi di coscienza, di filosofia, di teologia e di apologetica, cui furono costretti anche i preti slavi, restii alla cultura. L’ Adelasio il 29 giugno 1688 decretava che ogni giovedì il clero si radunasse nella basilica e al riflesso dorato dei musaici discutesse di filosofia, morale e dogmatica. Il Vaira al principio del secolo XVIII teneva lezioni di diritto canonico ogni settimana nella cattedrale al clero. Per tal modo venne mitigata quella certa rilassatezza che anche nel clero parentino italiano s’ era infiltrata al tempo dei vescovi Tritonii, che troppo poco abitavano a Parenzo,