— 269 — « Venne tosto a terra il Generale e quasi disperato si rivolse per consiglio al povero mio Padre (il dott. Giampaolo Sereno). Gli espose la cosa, e gli comunicò il suo imbarazzo. Diceva egli : « Se io licenzio tutti questi birbanti pretenderanno di essere pagati del tempo perduto, — se a ciò mi rifiutassi, come sarei costretto mancandomene li mezzi, si abban-donarebbero alli più grandi eccessi e verso di me e verso il paese, e sarei sicuro che darebbero il sacco per fare un bottino che li redintegrasse del perduto. Io mi trovo per conseguenza nei maggiori affanni. « Allora mio padre non seppe altro dire, che pazientasse qualche giorno, accordando intanto con facilità dei permessi e dei congedi, procrastinando così stando a Parenzo per stancarli viemmaggiormente : se numerosi saranno li congedati, minore resterà la forza della truppa, e quindi il paese, così dimezzata, potrebbe raccogliere le sue forze, e basteranno per garantirsi della possibile vessazione. In quel momento non sapeva altro dirgli perchè li momenti erano molto imbarazzati e pericolosi. « Dopo questo colloquio insorse un nuovo aneddoto. Un certo Alme-rig'ogna, uomo di circa sessanta anni, assunse l’incarico dal Prefetto Calafatti di portare in Istria le Circolari dirette alle Municipalità, colle quali annunziava la Pace seguita coll’ indicazione della cessione dell’ I-stria, come l’aveva partecipato il Commodoro Inglese. Considerato il Merigogna come una spia del Governo Francese, e come spargitore di una notizia che si voleva mettere in dubbio e negare, venne tradotto inanzi una Commissione di tutti gli Officiali del Corpo degli Austro-Istriaci. Il Generale che non aveva tutta 1’ Autorità, e che si vedeva esposto se non mostrava in questa circostanza tutto il rigore, aveva fissata la riunione di detta commissione pel giorno seguente. Alla sera però della vigilia di questo giorno che era un Sabbato, venne in tutta segretezza a parlare col Vescovo il benemerito sunnominato mio Zio e con Lui combinò ciò che si doveva fare il dì seguente. Quest’officio venne a farlo, forse obbligato da un nùto della sua coscienza sapendo coni’ erano le cose, o perchè, a dire il vero aveva un buon cuore, e incapace di un’azione crudele. « Venuta la Domenica verso le ore dieci nel mentre era raddunata tutta la Officialità nella camera maggiore del pubblico palazzo, colla piazza ]liena di armati e di popolo, rompendo la calca e la folla il Maestro delle Cerimonie colla sua vesta violacea e bastone preceduto dal nonzolo in vesta, e seguitato da due Chierici in cotta si portò al cospetto di tutta la commissione ed annunziò ad Essa l’imminente arrivo del Prelato. Infatti il doppio suono delle campane manifestava a tutti la sua sortita dal suo palazzo, e poco dopo si vide attraversare la piazza seguito da tutti li dieci Canonici in fascia e croce, e da oltre una dozzina di preti. Il Vescovo camminava scalzo — era di una imponente presenza. Due Officiali furono mandati a riceverlo a piedi della scala, ed alla porta dell’edificio era il Generale. Fu fatto entrare nella camera della Commissione e stando tutti in piedi, si volse a quei Signori con un discorso così eloquente dettato da una occasione cosi critica, che nel terminarlo pronunziò