« Marycka Magdónova » chi non proferisce con un senso di affettuosa mestizia il nome della vittima che ha sentito echeggiare alla fine di ogni strofe? Chi non s’accorge che quell’ap-parire della forma « Bernard Zar » al principio' ed alla fine di ogni strofa rivela la figura del rigenerato cèco, scolpito coi tratti di un tipo generico? Quanto non dice quel doppio sparo di « io, io » al principio di tutta una carica di invettive, beffe e flagelli di « Jà? ». E il nome di « Dombrovà » minacciata, che si ripete e si rincorre qua e là nel corso della poesia, non sembra il rintocco della campana che suona a stormo e lancia il segnale d’ellarme? (1). Qualche volta però il Bezruc insiste un po’ troppo su questo effetto e rasenta il tecnicismo o il convenzionalismo. 11 commiato, per esempio, che prende nel « Destino » (2) con tutto quel finale di « addio » è ormai non solo' comune, ma ritrito in tutte le letterature. Lo sforzo di imitare il ritmo popolaresco di una canzone a ballo confina colla cristallizzazione dello schema poetico (3). L’imitazione onomatopeica di un vecchio moliro degenera in virtuosismo tecnico (4). A proposito di ripetizioni verrebbe fatto di dire che talvolta il Bezruc ripete in differenti poesie uno stesso concetto, precise immagini, le stesse frasi, e ciò non per volere ripetere, cioè a titolo' di ripetizione voluta, come s’è osservato prima, ma quasi non si ricordasse di averle usate già altrove. Così due volte, nello stesso modo, invia il saluto o porge la mano alla patria lontana (5), due volte ricorda il « rullo del tamburo » in, uno stesso ritmo, (6) due volte battezza alcuni (1) Anche involontariamente qui vien fatto di pensare all’evocazione di Amburgo in Dumu di O. Zupanciì pubblicata nei suoi Sumogovori, Lubiana, 1908. (2) Osud, ed. cit. pag. 95. (3) Kyjov, ed. cit. pag. 11. (4) Strébovsky mlyn, ed. cit. pag 94. (5) <( PosfliSm Vàm z dàlky pozdrav » in « Dvé dédiny », ed. cit. pag. 60. — « Podàvàm vàm z dàlky ruku » in Ligotka kameralna, ib. 63. (6) « V rachotu bubnù » in « Didus ineptus » ed. cit. pag. 121 — « V rachotu bubnù » in Markyz Gero, ib. 131. * 102 *