— 79 — che Dante intende per lingua italiana è una lingua imperiale. Non si può dire ch’egli ne sia stato il padre, ma piuttosto il legislatore, colui che, liberandola dagli scrittori pedestri, comunali e oppidani di tutti i tempi, la purificò e la ridusse alla nobiltà della lingua madre. E come non c’ è luogo della nostra terra ch’egli non abbia visto, saputo o nominato, e questo ce la rende più certa e sacra, quasi che 1’ Italia non si possa riconoscere che in lui, così noi riconosciamo la nostra lingua. La riconosciamo, per dire fino in fondo il nostro pensiero, nei principii del De Vulgari elo-quentia e nell’esempio glorioso della prosa del Convito, laddove è più viva, meglio che nella Commedia. Infatti le circostanze storiche e soggettive che concorrono a creare un poeta sono, in un certo senso, obbligatorie, non generalizzabili, e non possono servire di norma a nessuno. Un