— 90 — condavano, lasciando vedere solo a tratti la gelida nudità dei suoi marmi. I simulacri dell’antica grandezza, di cui il classicheggiante edificio si adornava più del necessario, avevano un’attitudine pensierosa e mesta, da erme funerarie, e occupavano il posto delle comode suppellettili. Lì ogni cosa ispirava un senso flebile d’elegìa ; e pareva che dalla nostra Lingua, usa ai sollazzi e alla grande famigliarità principesca delle sue corti d’un tempo, non dovessero più uscire che singhiozzi e frenetiche invocazioni al passato. In quel tetro romitaggio la primavera non giungeva mai. Era sempre autunno. E la civetta, di notte, faceva udire il suo lugubre grido. Fu là che un giorno apparvero, caso straordinario, due Geni. La buona Lingua s’affrettò a riceverli con impareggiabile grazia. Si chiamavano Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi. Passò avanti il primo, per ragioni di età. Un gran