— 59 — come la francese, due lingue distinte e incompatibili, l’una moderna e l’altra arcaica. Per cui, è grossolano, ed è piuttosto da francesi che da italiani, voler sequestrare una lingua simile nel gusto di un’epoca particolare o magari d’una provincia, e scriverla secondo uso. Ma tutto questo non si capirebbe ancora bene senza la premessa di una lingua storica e letteraria, vivente non nell’uso, non nel parlare dei contadini in Toscana, non nelle conversazioni del ceto colto fiorentino, e neppure nei postriboli e nei tabarins, ma sulle pagine di coloro che scrivono e che ne assumono la responsabilità intera. Per Leopardi è viva soltanto questa, e morta è quella lingua a cui manchi l’alito del genio scrivente e creativo. Stimava perciò che abbia diritto di legiferare in lingua soltanto quella provincia che dà i migliori autori, e finché ne dà. Un privilegio linguistico fondato sul « Ri-gutini e Fanfani » gli sarebbe parso un