DE’ M O R L A C C H I‘ 191 Io non entro in queftione , fe i Morlacchi abbiano portata feco dal Settentrione quella credenza Orientale, o fe l’abbiano apprefa da’ Romani . OiTervo , che quando ii vuol alle volte perfuader taluno di qualche buon fucceíTo , fi ufa ancora dire fra effi fcambievolmente . Srichiate gleda\ Nefricbiati neda che traducendo il fentimento in Italiano corrifponde a 1 dir La Sorte non ti è bieca, Il Diavolo ti accieca. quafi che la forte* ch’era il Genio buono conducef-fe per vie dirette, ed il Diavolo per le indirette. Ma quella faifa perfuafione è quafi iradicata da’loro cervelli per mezzo de’Miniilri della Religione Criilia-na che perfuafero loro , che non vi fono , che gli Angeli Cuftodi, che vegliano alla cura de’ Criiliani , ed ai Diavoli è permeifo di tentarli , Nulla olíante una verità così evidente, per non perder l’antico u- • fo, eifi non poifono metter in non cale la loro Deità Sricbia, eh’ è il buon Genio , il quale invocano fpecialmente ne’tempi di chiailo , fenza faper che fi dicano, giocando con eiTo, come i Poeti con Bacco. I Romani pure nelle gozzoviglie aveano il Dio Genio. Indulge Genio: carpamus dulcía: noftrum eft Quod vivís ; cinis} manes, (y fabula fies Perf. Sat. 5. v. 120. In