i6 DEL CORSO dal volto, fotto cui eravamo , con continuo rifehio di romperli i piedi, e di fiaccarti il collo. Convien credere, che quefti sfaldamenti fieno fucceifi ne’tempi aifai lontani, da che grandiifimi pezzi degli ftilli-cidj fi formarono fopra i iaifi fletti . il fondo marmoreo , fu cui camminavamo, i volti che fopra noi vedevanfi, moltiffime delle fatture ilalattitiche , che otterva vanii eran di gran lunga più tetre, e più nere di quello, che i Pittori, ed i Poeti ci fanno pin-gere, ed ideare i Demonj, ed il baratro Infernale . Uno de’Morlacchi, ch’era meco, efclamò „ fe que-flo non è un ramo dell’Inferno, e quale mai farà L’altro gli rifpofe ,, Vorrefli tu, che nell’inferno vi foifero così belli lavori? ,,In fatti, fe fi offer va l’orrida nerezza di queflo antro da una parte, i varj , e moltiplicati lavori della Natura dall’altra , fi potrà ben dire, che in queflo Inferno vi è qualche buon pezzo di Paradifo, e degno mi comparifce de’ rifleffi di qualunque faggio, e diligente perfcrutatore de’fe-creti Naturali. Io non mi perfuaderò mai, che la nerezza di queflo angolo Cavernofo provenga dal fumo, cui gli antichi Selvaggi potevano comunicare alle pareti, anzi mi perfuado, che forfè quivi neppur vi penetraffero, e refto affai flrafecolato, che il Fortis nel fuo viaggio fotterraneo dia la colpa della nerezza agli antichi barbari, che abitarono colà dentro, (¿) Percorfo lo fpazio di cinquanta patti , benché fi potette gir più oltre, noi tornammo a fpuntar nella Sala, ( 3 ) ,, Da quelle anguftie fi paiTa in luoghi , meno impratica-„ bili , ma Tempre ugualmente orrendi , e refi più tetri là , ,, dove fono più fpaziofi, dalla negrezza delle pareti affumicate. Forr. Voi. %. p. 6 5.