LE ULTIME TRATTATIVE
una sola modificazione : la sostituzione cioè della parola « impetrarsene » alla parola « promuoversene ».
    Gli parve forse che usando la prima vi sarebbe stato un riconoscimento dell’autorità sovrana e non si accorse che il significato della seconda (forse non se ne accorsero neppure i Cardinali) era molto più estensivo, perchè varii erano i modi coi quali si poteva promuovere una alterazione di regole religiose. La modificazione non ebbe luogo e l’articolo passò nel progetto definitivo conservando l’espressione « promuoversene » (1).
    Veniva finalmente nel progetto l’art. 7 (2) che era poi l’ultimo e sul quale molto si era discusso. Anche qui come in quello schema di articolo che era stato presentato nella Conferenza ottava, malamente erano stati uniti i due istituti delle rinunzie a<l favorem e delle coadiutorie, stabilendosi che quelle sole erano permesse che consentivano le leggi della Chiesa e particolarmente il Concilio di Trento. La seconda parte riguardava i casi eccezionali di coadiutorie e rinunzie non considerate dal diritto canonico, per impetrare le quali si dovea chiedere « la pubblica licenza ».
    Così il progetto di questo articolo steso dall’Ambasciatore non portava modificazioni sostanziali al Decreto 7 settembre!
     (1)	Cfr.: «Documenti» in Appendice, Progetto riformato, art. 6.
     (2)	Art. 7 : « Li gravi disordini insorti nel dominio nostro per occasione delle coadiutorie cum futura successione e dalle rinunzie ad favo-rem, hanno indotto il Senato a stabilire che da qui in poi alcun ecclesiastico dello Stato non possa impetrare coadiutorie cum futura successione, nè far rinunzie dei propri benefìzi posti entro le pubbliche dizioni, se non a tenore di quanto prescrive il diritto canonico e in particolare il Concilio di Trento. Siccome però non intende il Senato di limitare l’autorità pontificia nelle dispense dalle canoniche leggi, così col solo oggetto di esaminare come compete ad ogni principe, se la petizione della coadiutoria o la rinunzia sia per opporsi ai politici rispetti ed al bene dei sudditi, prescrive e comanda, sotto pena della dovuta correzione alli trasgressori che nei casi li quali non sono permessi dal diritto, nè dal suddetto concilio, debba in avvenire ciascun suddito nostro prima di incaminare li suoi ricorsi in Curia, ottenere la pubblica permissione; onde conosciutasi da noi unicamente che da ciò non sia per derivare alcun inconveniente contro li riguardi sopra accennati di buon governo, rimanga alla Santa Sede la libertà che le compete di far l’esame de’ requisiti canonici ed ecclesiastici dei postulanti ed inoltre la facoltà di concedere o negare la grazia alli medesimi ».
— 213 —