OSSERVAZIONI SOPRA LI FALSI PRINCIPI, ECC. ficare, ed ammollire le espressioni del Decreto, non restringono punto l’intimazione generale di non voler ammettere le concessioni della S. Sede nei casi, ne quali possa essere supplito da Vescovi. Potrebbe forse parere ristretta da quelle parole della Circolare, che il Decreto ha in vista solamente il fatto, quando non si unisca ai rispetti nostri. Ma acciocché questa condizione facesse qualche effetto, doveva essere apposta nel Decreto immediatamente alla generale intimazione, sebbene neppur allora si sarebbe scansato l’equivoco, che sta in quelle parole di avere in vista solamente il fatto. Egli è vero che l’ammettere o il non ammettere i Brevi consiste in un fatto: Ma non consiste poi in un fatto l’intimare, che non saranno ammessi. È un punto questo, di diritto. Un fatto sarebbe, se senza l’intimazione alcuna non si fosse in qualche caso, per riguardi ragionevoli, ammesso un Breve emanato dalla Santa Sede. Inoltre accade alle volte di dubitare: se ciò che dalla S. Sede viene concesso con suo Breve, possa spedirsi dal Vescovo, con la sua facoltà. Anzi vi sono certe concessioni, che alcuni Vescovi pretendono di poter fare, sebbene loro resista la Sede Apostolica. Or oltreché questa lor pretensione viene eccitata, e fomentata dal Decreto, in questi casi di dubbio, o di pretesa, come onderebbe la cosa? Attesa la disposizione del Decreto, bisognerebbe istituire un esame, costituire un giudice, erigere un tribunale, in cui venisse esaminato e deciso, se al Vescovo spettasse o no, la facoltà ad effetto di ammettere o di rigettare il Breve del Papa. Ma chi dovrebbe fame l’esame? Chi dovrebbe costituire il giudice? Qual’esser dovrebbe questo supremo tribunale, che decidesse tra il Sommo Pontefice ed il Vescovo? È molto delicato anche il seguente capo del Decreto, in cui si descrive così, sopra le Sacre Ordinazioni: Saranno esclusi dal licenziamento tutti quei Brevi, che venissero impetrati senza Pubblica licenza da concedersi in casi assai rari, per ordinazioni da farsi extra tempora, non osservati i debiti interstizi, e prima degli anni stabiliti da Sacri Canoni. Nort si può dubitare che la Sacra Ordinazione non sia cosa tutta spirituale, e che come tale non sia stata sempre regolata dalle leggi della S. Chiesa. Non sarà dunque uno stendere le mani al Santuario, una usurpazione della potestà spirituale il far prescrizioni, il voler giudicare e decidere sopra la promozione de sacri Ministri? Imperocché se ninno potrà ascendere al sacro Altare in forza della dispensa del Sommo Pontefice senza pubblica licenza da concedersi in casi assai rari, dovrà conchiudersi, che dal Senato sarà data la facoltà per la promozione. Quante prevaricazioni si contengono in questa disposizione? Si spogliano i Vescovi dei loro diritto di giudicare della necessità, o utilità della Chiesa, a di cui contemplazione abbiano a procurare qualche antecipata promozione. Si esentano i Sacri Ministri dalla canonica soggezione dei loro Vescovi nel punto delle Ordinazioni, in cui dipenderebbero dalla volontà del Senato. Si apre una gran porta all’ambito, alle preghiere, agli ossequij, ai servigi, ed a qualunque altro indegno mezzo con cui li Chierici tentino di guadagnarsi li voti dei Senatori, per presto ascendere al grado del sacerdozio. Si fa dispotico il Senato delle Leggi della — 305 — 20