LE CONFERENZE DI VENEZIA che il Governo reputava il suo decoro. Ma Benedetto XIV non poteva cedere di fronte a gravi lesioni dei diritti della Chiesa, e la sua linea di condotta dovea essere quella idi non tradire l’A-postolico suo ministero. La Repubblica dovea trovare una soluzione su altro terreno, dacché la partita era impegnata: e la soluzione poteva essere solo quella o di riconoscere l’offesa fatta alla competenza dell’Autorità ecclesiastica e farne ammenda colla revoca del Decreto, oppure quella di non riconoscerla e mantenere il Decreto in tutta la sua integrità. Il Senato, molto soddisfatto della condotta dei due Deputati giudicandola « prudente e conforme alla mente pubblica non che all’indole stessa del negozio » (1) e lodando la prudenza « di far seguire Monsignor Nunzio a queste prime aperture per riconoscere le intenzioni della Santità Sua e li modi con cui fosse stato incaricato di trattare la materia » (2), decise di sottoporre ancora una volta quanto si conteneva nel Decreto ai Consultori « in jure, ordinario et extraordinario » anche perchè si voleva sapere se il Decreto 7 settembre, contenesse materie di dogma o di disciplina. L’affare era avviato per una china pericolosa. Non forse per colpa del Consultore ordinario, P. Enrico Fanzio da Udine, dei Serviti, succeduto al padre Celotti, quanto piuttosto perchè sarebbe intervenuto nuovamente il Montegnaoco, anima e sostenitore del Decreto. E fu effettivamente così: anche stavolta con tenacia riuscì a suggestionare il Consultore Wrachien, ed a comporre la sua scrittura, sostenendo ostinatamente le ragioni del Decreto anche contro le opinioni degli altri Consultori. Anzi le discrepanze sorte fra questi furono la causa principale di ritardo nella convocazione della seconda conferenza, dalla quale il Papa si riprometteva che la Repubblica dovesse, entrando in merito, concludere qualche cosa di più di quello che si era fatto nella prima. Il lavorio del Canonico consultore, sordo e lento, dovea però finire col disgustare una parte dello stesso Senato. Anche quelli, che erano nuovi, perchè arrivati a Venezia da poco tempo, come il Diedo venuto dal bailaggio idi Costantinopoli, uomo esperto di affari e che conosceva le vie della diplomazia, (1) Arch. Stato Venezia, Sen. Roma Exp., f. 74, 10 maggio 1755. (2) Arch. cit., 1. c. — 99 —