IE CONFERENZE DI VENEZIA questo punto che « sia fatto parimenti intendere ai detti Ordinarti che di quelle concessioni e dispense, che possono da essi rilasciarsi ai rispettivi diocesani, in forza del jus loro ordinario, della disposizione dei canoni, o dei privilegi loro concessi, non sarà in avvenire licenziata alcuna bolla, breve o rescritto, che venisse impetrato di fuori, tanto maggiormente che tali concessioni per lo più si ottengono con esposizioni di cause supposte senza necessità o utilità della Chiesa, in delusione delle disposizioni canoniche ed in rilassazione della buona disciplina » (1). Il Papa non poteva rimanere indifferente di fronte a questa statuizione grave in se stessa e pericolosa nelle sue conseguenze. Era grave in se stessa, perchè, qualunque fosse l’opinione che si potesse avere circa la podestà di giurisdizione dei Vescovi, doveva essere pacifico che il Papa jure divino, aveva assoluta e piena giurisdizione in qualsiasi parte del mondo, e conseguentemente in tutte le diocesi (2). Col negare esecuzione alle grazie impetrate a Roma, che avrebbero potuto anche concedere i Vescovi, necessariamente si limitava l’autorità del Romano Pontefice, ingenerando tale pervertimento nella disciplina ecclesiastica, da eccitare maggiormente le pretese dei Vescovi, fino a provoca- (1) Decreto 7 settembre 1754. (2) La pienezza di potestà del Romano Pontefice che si esercita sulla Chiesa universale, non è affatto incompatibile con il potere ordinario e immediato del Vescovo sopra lo stesso gregge, perchè, come osserva S. Tomaso (in IV Seni., dist. 17, q. 7) « inconveniens esset quod duo aequaliter super eandem plebem constituerentur, sed quod duo, quorum unus est alio principalior supèr eamdem plebem constituantur, non est inconveniens, et secundum hoc super eamdem plebem immediate sunt et sacerdos paro-chialis et Episcopus et Papa et quilibet eorum potest ea quae sunt juris-dictionis ad ipsum pertinentia, alteri committere ». La questione poi della potestà di giurisdizione dei Vescovi, se sia cioè immediate a Deo, o immediate a Summo Pontífice, è controversa, ma in ogni caso è altra da quella della pienezza della potestà competente al Papa jure divino. In ogni modo, dal punto di vista dommatico è più corretta l’opinione già sostenuta dal Bellarmino (De Rom. Pontífice, 1. 4, c. 22 e segg.), per la quale la pienezza della potestà del Romano Pontefice sulla Chiesa universale è tale « ut vel formaliter vel virtualiter complectatur omnem potestatem, qua Ecclesia regenda est et regitur ut idcirco sit immediatus fons a quo et jurisdictio Episcoporum ». Su questa questione tanto discussa nel Concilio di Trento, cfr.: Pallavicino, Storia del Concilio di Trento, Roma, 1657, lib. XVIII, c. 14-16, lib. XIX, c. 6-7-15 e per i teologi e canonisti Barbosa, De officio et potestate episcopi, Veneiis 1707, p. I, 1. I, c. 1, Pal- — 87 —