CAPITOLO PRIMO nimenti anteriori, qualche interpretazione di essi, e qua e là, idi sfuggita, qualche indagine sull’esistenza o meno di una prassi. Dal punto di vista sostanziale essa, come si è detto, si ispirò alle dottrine giurisdizionaliste del tempo. Questa ispirazione aveva fini eminentemente pratici, e quindi senza intenzione di arrivare ad una costruzione dottrinale che non avrebbe ragione di essere, arrivava talora all’esagerazione. Perchè anche quando le carte provenienti da Roma « ognuna da per se medesima non avesse particolare opposizione alle leggi ed alle massime dello Stato », il Principe doveva egualmente preoccuparsi e difendersi « per il numero o sia quantità delle medesime » (1). Numero di concessioni, pericoloso secondo il Foscarini, alla purezza della religione, che egli non dissimilmente dai tanti scrittori suoi contemporanei, si proponeva di conservare e salvaguardare. Sperava forse il nobile Savio che la revisione delle carte e quindi l’eventuale loro limitazione fosse sufficiente a porre riparo ai «disordini che egli aveva denunciato esistenti in Venezia? (2). Dunque se — come era evidente — a questi disordini così non si poteva porre sicuro rimedio, lo spirito informatore di questa scrittura non poteva essere diverso da quello che in materia di poteri vescovili era proprio dell’episcopalismo e che più tardi il giansenismo di Scipione Ricci tenterà di sviluppare in Toscana (3), e in materia di riduzione del numero degli ecclesiastici troverà uno dei più ferventi apostoli in Carlo Antonio Pilati illuminista trentino (4). Nell’ordinamento della Repubblica la scrittura del Foscarini portò una innovazione che non si può dire trascurabile. Essa eccitò il Senato a riordinare quel pubblico ufficio cui presiedeva il Revisore dei Brevi, così da togliere ogni possibile arbitrio di questo, che fino allora era consentito, e far rientrare (1) Ibidem, Relazione Foscarini. (2) Cfr.: Mutinelli, Memorie storiche degli ultimi cinquanta anni della Repubblica, Venezia, 1854, pag. 90 e segg. (3) Cfr.: Rodolico, Gli amici e i tempi di Scipione de Ricci, Firenze, 1920. (4) Cfr.: Rigatti, Un illuminista trentino del sec. XVIII, Firenze, 1923. — 38 —