I.F, ORIGINI DELLA CONTROVERSIA DIPLOMATICA tivo consiglio è il voler emendare la liturgia trapassando la le- nesi del pensiero del M.; perciò perde di vista la reale posizione dottrinaria di lui e lo esalta come un apologista della libertà dello Stato, senza poi chiedersi se realmente questa difesa della libertà si contenga o meno nei limiti dovuti. Il Tassini dice che il Montegnacco è « cresciuto nella consuetudine di uomini e di dottrine che alla fede tenevano congiunta la sovranità della patria », per trarre poi la conclusione che così « s’educò alle indefinibili dolcezze di quella sapienza, la quale, sgorgata dalla scuola apostolica, aveva insegnato alla sua antica Aquileia ad adorare le più volte Iddio contro il divieto del Papa » (op. cit., pag. 5), espressione questa che pare azzardata, a meno che non si voglia dire, per compiacere al Tassini, che non è chiaro di quale scuola apostolica si voglia parlare: certo non di quella che il cattolicesimo ha considerato come unica scuola apostolica tradizionale. L’asserzione del Tassini dovrebbe portarci ad una conclusione che, vogliamo credere, il Tassini stesso vorrà escludere e cioè che la scuola apostolica, che avrebbe insegnato ad Aquileia, sarebbe costituita nei suoi uomini e nelle sue dottrrine, da quella pleiade di uomini e di dottrine, alle quali, per confessione stessa del Tassini, il Montegnacco avrebbe attinto. Si tratterebbe allora di una scuola in aperta opposizione con quell’altra scuola, che si chiama Chiesa Cattolica. Intendo riferirmi agli autori citati dal Tassini stesso e dei nomi di alcuni dei quali ho fatto cenno nel testo. Il Pir-hing, il Wiestner, lo Schmalzgrueber e il Reiffenstuel sono, è vero, canonisti cattolici, ma le scritture del Montegnacco chiaramente dimostrano come tutte le teorie di questi occupino un posto affatto secondario, se non sono dimenticate totalmente. Vi trionfano invece tutte quelle altre teorie di altri canonisti, pur citati dal Tassini (pag. 5): e ricordiamo Pietro Pithou, il quale, sebbene tornato nel seno della Chiesa dopo il periodo passato nel Calvinismo, lasciò però traccie indelebili dei resti di quella religione, che egli aveva abbandonata. Il Tassini poi a questo punto non è preciso, perchè egli cita un Pithou morto nel 1621. Questo fu Francesco Pithou (nato 1544), canonista di valore relativo e solo ricordato, perchè fu il collaboratore di Pietro suo fratello, che è quello preso qui in considerazione (nato 1.° novembre 1539), discepolo del grande Cujaccio. A Pietro, oltre molte opere, appartengono i due volumi « Ecclesiae gallicanae in schismate status ex actis publicis » (Parisiis, 1594) e « Les libertés de l’église gallicane » (Paris, 1594), che dalla Congregazione dell’indice furono condannati il primo nel 1610, il secondo nel 1640. Guglielmo Barclay scrisse « De potestate papae >3, continuato dal figlio Giovanni, edito a Londra nel 1609 contro il Bellarmino, il quale anche rispose e si originò una polemica, che finì con la condanna da parte della Chiesa dell’opera dei Barclay (26 aprile 1613). Nè Guglielmo aveva esposto teorie più ortodosse nel « De regno ac regali potestate » (Parisiis, 1600). Pietro De Marca, altra fonte citata dal Tassini, è uno dei più forti assertori delle libertà gallicane, dal quale trassero Febronio e il Van Espen. Il suo libro fondamentale, che ispirò molti scrittori del secolo XVIII, è — 5 —