CAPITOLO PRIMO solutamente proibite e aveva dichiarate surretizie tutte quelle che in avvenire si impetrassero. Solo per gravissime necessità si lasciò libertà al Sommo Pontefice idi dare a certe chiese o prelature un coadiutore nel caso « che un’ingente necessità o utilità fosse diligentemente esaminata ». Ma a poco a poco « il desiderio di profitto lucroso, primaria sorgente di tutti li disordini negli ecclesiastici », fece sì che fossero poste in oblìo le sagge regole del Concilio di Trento e, rispetto alle rinunzie ad favorem, fu trovato un abile modo di eluderle, come è denunziato dalla scrittura del Foscarini : cc fu ritrovato che colui, il quale disegna di rinunciare ad un suo congiunto od ad altro ancora il proprio benefizio, faccia in Curia romana la sua rinunzia libera e non in favore del resignatario, ma si stipula prima col medesimo resignante un segreto patto (previo l’esborso della tassa delle Bolle), per cui la Dataria non per di lui rassegnazione, ma per libera collazione lo conferirà alla persona da lui resignante nominata, ed in questa forma si vedono spedite tutte le bolle di rinunzie, nelle quali queste appariscono libere e libere pure in conseguenza le collazioni » (1) osservandosi così il prescritto del Concilio a parole, ma trasgredendolo nello spirito e nella sostanza. E circa le coadiutorie cum spe futurae successionis si ritornò ad esse, con concessioni, che per tranquillità dell’investito si dichiarava derogassero alle leggi generali e speciali. Orbene, riguardo alle rinunzie ed alle coadiutorie, la Serenissima Repubblica provvide con norme, che statuivano essere assolutamente necessario a queste impetrazioni il consenso dei singoli Ordinarli diocesani. Si sperava così che la licenza delle rinuncie ad favo-rem e delle Coadiutorie potesse essere negata dai Vescovi, quando tali rinuncie non fossero state fatte nei mesi di collazione vescovile, per « ovviare all’uscita, che per questo canale s’è introdotta di gravissime somme di scudi ». Se non che non tutti i Vescovi negavano il loro consenso, attesa anche la somma venerazione che essi avevano per Roma e il desiderio di « non recar diminuzioni ai profitti della Dataria » : quindi il male persisteva. Il rimedio era facile: non poteva non essere approvata una ( 1) Ibidem, Relaz. Foscarini. — 36 —