CAPITOLO QUARTO di cose canoniche, possa avanzare, senza intenzione, un ragionamento come quello che fa il Montegnacco, che « non si può comprendere come si avesse potuto levar le chiavi di mano al Pontefice coi provvedimenti contenuti nel Decreto, perocché, non altro essendosi mai inteso nella Chiesa per le chiavi date da Cristo Signor Nostro a S. Pietro, se non la facoltà di sciogliere e di legare le anime e di amministrare le cose spirituali ai suoi fedeli in Cristo, era certissima cosa ed evidente per sè medesima che la Repubblica non veniva con alcuno dei fatti provvedimenti, ad arrogarsi alcuna facoltà sopra le anime dei suoi sudditi o sopra l’amministrazione delle spirituali cose, ma voleva unicamente riparare agli abusi » (1). Che cosa avrebbe risposto il Senato alla comunicazione, non era facile sapere data l’inviolabilità del segreto, che si osservava a Venezia; nulla intanto trascurava il Branciford per insinuare negli animi la bontà e la clemenza del Santo Padre, nella speranza che si arrivasse alla buona soluzione. La Nunziatura però aveva ragione di temere che, nonostante il discorso di Paolo Renier che aveva modificate le sue opinioni in Senato a favore della buona causa, nessun provvedimento concreto verrebbe preso. Era persuasione ormai diffusa in Venezia che da una parte il Papa avrebbe proceduto sempre blandamente e che dall’altra era impossibile prendere provvedimenti contrari al decoro del Principato. In questo senso infatti il Senato rispose al Pontefice per il (1) Relazione storica, cit., pubbl. in Cecchetti, La Corte, voi. II, pag. 214. Il concetto esposto circa il potere delle chiavi, deve essere inteso nel senso che l’insegnamento dommatico, al quale si appoggia Benedetto XIV, stabilisce che il potere del romano Pontefice non è un potere di ispezione e di direzione (giansenismo), ma un potere essenziale di giurisdizione episcopale, universale, potere ordinario inerente al suo stesso ufficio, immediato sia nella sua origine come nel suo esercizio e pieno intensive come extensive, al quale niente manca per l’esercizio dell’ufficio di pastore, di reggitore e di governatore della Chiesa universale secondo le parole « Tibi dabo claves regni coelorum ». Cfr. : Palmieri, Tract. de Romano pontífice, Prati, 1902, pars. II, cap. I, art. I, pag. 426 e segg. Il fatto dunque, che sia pure, col pretesto di riparare agli abusi, si volesse regolare l’esercizio di questo potere del Papa, è più che sufficiente per poter dire che si toglievano di mano al Pontefice le chiavi, mettendolo così nella condizione di non poterle usare secondo la sua missione. — 144 —