TENTATIVI E PROVVEDIMENTI PONTIFICI zioni relative riduceva la controversia ad una espressione, in un senso « quasi verbale ed affatto mutile », e in un altro « grandemente pericolosa » (1) affermando che « niuna delle antiche leggi non fa menzione di carte dogmatiche e di peni-tenzieria onde non si è creduto far nuova eccezione nel Decreto ». Con questa dichiarazione infatti si veniva a togliere valore alla prerogativa del Principe consistente nel regio exe-quatur il quale si esercitava per lo innanzi anche nelle materie dommatiche. I Principi non potevano pretendere di avvalorare o disfare le decisioni e ordinazioni fatte dagli ecclesiastici, ma avevano pur diritto di sapere il contenuto di quei documenti che venivano di fuori « affinchè sotto questo pretesto non si introduca cosa contraria alle leggi e costumanze loro, con nocumento della quiete e tranquillità dello Stato e del Governo della Repubblica ». 5) Prendendo poi in esame i singoli articoli e confrontandoli con quanto era scritto nella Carta delle dichiarazioni, il Consultore acutamente osservava come qxiesta ferisse in molti punti, le leggi e consuetudini della Repubblica. In materia per esempio, di riduzione di Messe avendosi dichiarato in quel foglio che « quello che attiene al foro della coscienza, l’intenzione di esso Senato è di permettere come fu solito a chi vuole, che ricorra all’Autorità spirituale della Chiesa » veniva tolta ogni ingerenza al Magistrato sopra Monasteri che in passato l’aveva avuta sopra le elemosine manuali date ai Regolari per celebrazione di Messe. In materia di Indulgenze, il Decreto 7 settembre disponeva « che non siano in avvenire licenziati simili Brevi, se all’impetrazione dei medesimi non avrà preceduto una legale attestazione dei rispettivi Ordinari, che questi abbiano a servire in edificazione e profitto spirituale ». La Carta delle Dichiarazioni diceva che il Senato « lontano di impedire li ricorsi immediati alla Santa Sede, si è anzi in ciò lasciato, e si lascia libertà pienissima a tutti, soltanto che i Vescovi conoscano dover essere salutari e non dannosi li ricorsi ». Ora dal confronto di queste due espressioni, concludeva il Prevati che non essendo impediti i ricorsi immediati alla Santa Sede secondo la Carta suddetta, e potendo il Vescovo come per (1) Arch. St. Venezia, Sen. Roma Exp., f. 75 - Consultaz. Prevati, cit. — 131 —