BREVE DEL PAPA poveri, che da tutto il mondo ricorrono a Roma, e che, essendo sovragrande il loro numero, ed essendo inoltre quotidiane le condonazioni che si fanno a chi esibisce le fedi di povertà fatte dai loro Ordinari, resta la Camera Apostolica debitrice di qualche centinaia di migliaia di scudi al Monte di Pietà, superando le condonazioni e le limosine il deposito che in esso si fa del denaro che si ritrae dalle matrimoniali: la terza, ed ultima, che sarebbe un contratto molto svantaggioso alla Repubblica, se, concedendo Noi tutto gratis, ai di lei sudditi, essa si assumesse il peso di pagare il frutto dei debiti che restano, e che la Santa Sede ha contratti per sovvenire la causa pubblica della Religione, e colla causa pubblica quella dell’inclita Repubblica di Venezia in tante e tante volte che è stata minacciata dal Turco. Crescerebbe la mole di questa nostra Paterna Lettera, se in essa pretendessimo d’inserire quanto potressimo inserire sopra ciaschedun capo del Decreto. Noi ora ciò non intendiamo di fare, sì perchè non vogliamo recarvi maggior tedio, si perchè siamo ben persuasi, che quanto abbiamo accennato, sarà più che sufficente a rendervi palesi i gravi pericoli, ne’ quali vi hanno posto alcuni Consultori. Per farvi poi palesi i Nostri affettuosi pensieri verso di Voi, e della vostra inclita Repubblica, non ci serviamo di mediatori, ma a dirittura ricorriamo a Voi, nè ci serviamo de’ soliti espedienti, de’ quali s‘ sono prevaluti i nostri Predecessori, quando si sono ritrovati nelle circostanze, nelle quali ora Noi ci troviamo. Speriamo di ottenere da voi quanto è necessario per riparare ai danni e ai pregiudizi dati dal Vostro Decreto, alla Chiesa, alla Sede Apostolica, al Sommo Pontificato: il che pure è un evidente prova del Nostro Paterno sincero affetto, con cui Vi riguardiamo, e del gran concetto, che abbiamo del Vostro merito, e della Vostra probità. Nè Vi lasciate di grazia sedurre da chi sappiamo spacciarsi, che il correggere, il moderare, il ritrattare, sono passi che non convengono al decoro della Vostra inclita Repubblica. Gli uomini savi, de’ quali è composto il vostro rispettabile Ceto, non hanno altro scopo nelle loro azioni, che il giusto; ed il giusto è quella unica misura con cui regolano le loro risoluzioni. Potressimo con molta facilità portarvi gli esempi de’ Potentati più illustri del Cristianesimo, che, avvisati d’aver trapassati i limiti, e di avere con le loro risoluzioni offesa la Chiesa, non hanno avuto difficoltà di riparare con nuove risoluzioni i danni che avevano dato colle prime, prendendo in buona parte le ammonizioni a loro fatte dai Romani Pontefici, e prevenendo in questo modo le cassazioni ed annullazioni, che servendosi della loro autorità, sarebbero stati astretti di fare, per vendicare gli oltraggi fatti alla Chiesa. Questo fu il glorioso sistema adoperato dalla Vostra inclita Repubblica col Nostro predecessore Pio II nelle aspre contese che ebbe con esso per alcuni Decreti fatti in pregiudizio della Chiesa, ed ecco le parole della lettera del Doge Pasquale Malipiero, che si conserva negli archivi Vaticani: Fuit eritque semper, Beatissime Pater, magnum desiderium nostrum, in cunctis possibilibus clementiae vestrae, morem gerere, Cum vero ab legatis Sanctitatis vestrae penes nos existentibus, fuerimus saepe numero requisiti, quod tollerentur et abolerentur Decreta illa edita per nos, qua mentem Sanctitatis Vestrae laedere videbantur, cupidi eius desideriis inhaerere nun- — 267 —