APPENDICE per schivare quegl’abusi, che derivano dalla troppa facilità; onde succede che si diminuisca la divozione, e riverenza verso le tante indulgenze. In tali circostanze ragionevoli deve il Senato far l’esame, se possa, o non possa pubblicare l’indulgenza con edificazione del popolo Cristiano, e dipende dal di lui secolare giudizio l’esecuzione della grazia spirituale, non già la cognizione dell’utilità dell’indulgenza, che questa si riserba al Vescovo, che deve fare l’attestato, ora un tale provvedimento può, e deve farsi da ogni superiore di comunità, se taluno di essa comunità di suo privato capriccio arrogar si volesse, e dimandare al Pontefice cosa che riguardi tutto il suo corpo. Dicono taluni col pretesto della revisione il Principe si fa arbitro del regimine Ecclesiastico, volendo, che all’impetrazione delle Indulgenze preceda l’attestato dell’Ordinario. Se nella materia spirituale, è meramente Ecclesiastica vi sono disordini non appartiene al laico, ma alla Potestà Ecclesiastica rimediarvi, la quale sarà pronta, quando sarà illuminata. A queste ultime parole già è stato risposto da altri dicendo (29), che sono già secoli, che i buoni cristiani dimandano alla Corte di Roma questo rimedio. Le calamità della Chiesa più che le buone disposizioni della Corte, hanno ottenuto che il Concilio di Trento porgesse una qualche medicina al male: e ciò gli fece inculcando la moderazione nel dispensarle, ma niente di meno la concessione generosa continua. La facilità d’impetrar Flndulgenze e gli effetti perniciosi a tempi nostri, ancora si riconosce dalla Corte di Roma, mentre sopra di ciò fu a Monsignor Giusto Fontanini richiesta consultazione, che si vede stampata in Venezia l’anno 1755, nelle memorie della di lui vita. Il Senato vuole por freno agli abusi dell’indiscrete impetrazioni dei sudditi, e non di tutti, ma di quelli soli che non hanno alcun carattere di dimandarle per le chiese ed altari campestri del suo Dominio. Ciò certamente non si deve dimandare al Papa, vai a dire il rimedio di por in dovere gl’impetranti, quasi che ad esso appartenesse regolare i disordini dello Stato, e de’ sudditi altrui. Se per essere la materia spirituale e meramente ecclesiastica appartiene alla sola Potestà ecclesiastica, la stessa ragione corre contro la revisione e licenza, alla quale non si fa dificoltà, benché s’estendi ancora a questa materia. La Potestà laica non si fa arbitra dell’ecclesiastico regimine quando decreta relativamente e coerentemente alla decisione de’ Sacri Canoni, ovvero all’intenzione principale della Chiesa nel stabilirli. Si potrebbe censurare l’arbitrio, se questi limiti oltrepassasse, e la Potestà laica fissar volesse un sistema contrario nuovo, o diverso nella disciplina ecclesiastica, ovvero opporsi, che l’ecclesiastica Potestà s’ingerisse. Quella a questa unita e subordinate deve invigilare, attendere e procurare di svellere in qualsivoglia miglior modo, che all’una, e l’altra rispettivamente compete, qualunque disordine. (29) Lettera di N. Veneziano a N. suo Corrispondente sopracitata cap. 2, n. 4, pag. 42. — 288 —