CAPITOLO PRIMO giltima giurisdizione e per ovviare ad alcuni disordini secondarii, mettere a repentaglio il principio fondamentale dell’unità l’opera « Disserlationes de concordia sacerdotii et imperii », edito nel 1641 e condannato all’indice l’il giugno 1642 e ricondannato poi il 7 novembre 1664, nell’edizione presentata da Baluzio (Parigi, 1663). A queste fonti auinse il Montegnacco, come del resto i contemporanei (se ne valsero molto i Consultori in jure della Repubblica in questo periodo), ma fonte principale furono le opere di Zeger Bernardo Van Espen, n. il 1646 in Lovanio, eruditissimo, giansenista e che col pretesto di zelo e di riforme necessarie al bene della Chiesa tendeva a deprimere l’autorità ecclesiastica, a eguagliare i vescovi al Sommo Pontefice (sistema episcopa-listico) e ad esaltare senza misura l’autorità del Principe in confronto all’autorità del Papa. Le sue opere furono ripetutamente condannate (1704, 1713, 1732), ed egli alle domande rivoltegli dall’Arcivescovo di Malines, se avesse accettato la professione di fede del Concilio di Trento, e se fosse stato pronto di prestar giuramento secondo il formulario proposto da Alessandro VII e dalla bolla di Clemente XI, « Vineam Domini », e così pure se avesse accettato la bolla « Unigenitus » e le proposizioni in essa condannate, preferì andarsene in Olanda, appoggiarsi alle sette eretiche. Morì il 2 ottobre 1728 lasciando l’opera principale « Jus ecclesiasticum universum », edita in più volumi a Lovanio nel 1700, a Bruxelles nel 1710. Altre edizioni si ebbero dopo la sua morte, tra cui menzionabile quella di Magonza (1791). Nel 1721 in Bruxelles pubblicò De promulgatione legum ecclesiastica-rum specialmente delle bolle e rescritti della Curia romana parlando in modo particolareggiato e diffuso del « placet » regio, che egli sostenne doversi estendere, senza violazione di leggi ecclesiastiche, anche alle bolle dommatiche. Il Barbosa è ortodosso, e canonista princeps: la Summa apostolicarum decisionum però, fu condannata (22 genn. 1642). Queste le fonti, che, come è chiaro, non possono dirsi tali da dare una dottrina sicura, come afferma il Tassini (pag. 33), nè tanto meno costituire « quelle fonti classiche —- veri germogli della scuola sacra — alle quali al dì d’oggi non si ritorna, perchè, troppo astruse o troppo difficili, non si comprendono più » (ibidem). L’affermazione è esagerata e non corrisponde al movimento degli studi canonistici e alle ragioni per cui certe fonti sono state abbandonate. Circa gli scrittori citati per notizie dettagliate e precise, cfr.: Hurter, Nomenclátor literarius theologiae catholi-cae, Oeniponte, III, 1907 e IV, 1910. Del resto a meglio dare un’idea del- 1 influenza di tutti questi scrittori e dei principi sulle teorie professate nel sec. XVII, cfr. il magistrale lavoro di Jemolo, Stato e Chiesa negli scrittori italiani del seicento e del settecento. Torino, 1914. Per quello che riguarda il Sarpi (Opere, Helmstadt, J. Mulleri, Verona, Moroni, 1761), l’influenza dei suoi scritti sul Montegnacco è ammessa dal Tassini (op. c., pag. 25-26); in realtà infatti si osserva che il M. cita fra Paolo, come citerebbe un passo — 6 —