156 CAPITOLO XII. tristi o pauroso tenebre d’ignoranza o i popoli ricadati nella barbarie e nella miseria si agitano indarno in cerca di un ordinamento civile e Venezia stessa è ben lungi dall' aver raggiunta la sua indipendenza e uno stabile assetto politico, già i Veneziani, questi « figli del mare » scorrono ogni seno dell’Adriatico ’) e nel IX secolo, fattisi intermediari fra Greci, Arabi, Germani e Latini, spandono le loro vele da un'estremità all’altra del Mediterraneo. Le cronache, come le leggende (e basti qui ricordare il tenore di quella che riguarda la traslazione del corpo di S. Marco da Alessandria), le lettere dei papi, come i diplomi imperiali e i crisoboli bisantini son concordi nello attestare (guanto rapidamente fiorissero i commerci di Venezia negli oscuri secoli che precedono le crociate, quando ancora si notano appena i primi e pallidi albori del sorgere di Pisa e di Genova, e quando Amalfi, la bella, le era unica rivale *). ') I,o attesta in mo a portare a Ravenna del rino dell'Utria. 11 Gfrwrer ne trae la conseguenza che già dal VI «ecok» i Veneziani navigassero neU'Airica. nella Spagna, in Egitto, in Siria, a Costantinopoli. *) Si ricontino a questo proposito la (cronaca del monaco di S. Gallo (in Pertz, Monum. Germ. Aiti., voi. Il, pag. 760) e le merci orientali, che si scambiavano a Paria; i privilegi concessi a Venezia -la Carlomagno »'Ha pace d*.V|oisgrana (810> e confermati «la lyotario II, da Lodovico li, da Carlo il Grusso ecc.; le lettere papali dirette a proibire la vendita degli schiari agl’infedeli; il servino di nocchieri che i Veneziani prestarono talvolta anche ai Saraceni (nell’813 ambasciatori saraceni pantano in Sicilia m itaci e piti tardi il servigio