FRANCESCO FOSCARI 333 ra prima di tegole, lasciava ne’ più splendidi siti rinnovata e marmorea. E ben pronunzia vasi, che le virtù del Foscari tenessero per anni 34 incantala la volubilità della sorte alle pubbliche armi assistente, per lasciare al valore la gloria delle ottenute conquiste. Poiché quanti ne ebbe egli di regno, altrettanti fiorirono anche dopo la sua morte, tra lo Sforza e la Repubblica, gli anni della pace, che ricordossi col suo stemma sul muro scolpito nel chiostro di S. Cristo-foro, e col nome stesso di Pace a quell'isola, per opera del magnanimo Fra Simone da Camerino. Ma fu ben presto quell’antico sorriso in amaro scherno rivolto, onde per privata vendetta di presunti delitti va macchiata la storia di due incancellabili colpe. É una la persecuzione del figlio, unico rimastogli di cinque nel breve giro di un luslro, che nella slessa piazza di S. Marco per un’accusa bandito, era poi dell’uccisione imputato di un capo dei Dieci, da un E-rizzo invece iuterfetto, che confessollo moriente, quando perù Jacopo altro infelicemente non era che un fantasma ed un nome, nè più poteva sotto il cielo di Venezia sedersi, e neppure avvolgersi tra la sua polve. E seconda è la deposizione del doge, che nessuna legge ammetteva; che da un giuramento solenne dopo due spontanee non ricevute rinunzie era resa impossibile; che si meditò per otto giorni, e fino a 4 e 5 ore di notte in collegio, così credendo Lore-dan di far saldo di supposte partite di credito, mentre ne apriva di vere a suo perenne disdoro al tribunale dei posteri. E quel Foscari che vestì cuore di adamante, testimonio delle torture di Jacopo, seduto a giudicarlo egli stesso, e come Catone per sagace consiglio, Bruto per gagliardo animo invitto, seppe all’ultimo colloquio resistere, cadendo poi tramortito al ritornare in palazzo, affrontò pure da forte la visita dei consiglieri che in tre dì lo invitavano a lasciar la reggia ducale. Si trasse quindi dal dito alla Ior presenza l’anello, e se lo vide spezzare a sangue freddo sugli