IL BALLOTTINO 291 ballottazioni, che ricordavasi dal cancellici- grande sovente ai consiglieri e ai capi dei Quaranta, obbligati sotto certe pene al silenzio sulle discussioni seguite, per lo spazio almeno di un decennio ; ed era vietato ai nobili severamente di aprir la porta del consiglio a talento, e uscir prima del termine del conclave. E basti ricordare, che perfino le palle, usate di cera fino al 4282, e portate ili urna scoperta, si vollero, per timor dello strepito, che indizio fosse sul numero, costrutte di tela, e girate in bossoli chiusi; onde trovasi in Gallicciolli e Corner, che le monache di S, Girolamo ricevettero ducati 100 il 4 maggio 4421, e altri 50 mezzo secolo dopo, per spesa e fattura di pallottole, ad uso del gran consiglio. E nella elezione del doge poneansi in un’ urna tante palle quanti erano i nobili radunati, trenta d’ oro e le altre di argento, e il ballottino estraeva una palla ad ogni nome, e restavano elettori quei trenta, a cui fosse d’ oro toccata. Poscia delle trenta se ne ponevano nove d’ oro, e le altre di argento nell’ urna, ed estratte pur queste dal ballottino, si disponeva che i nove inclusi n’eleggessero quaranta, coll’ordine, che i primi quattro estratti n’eleggessero cinque per uno, e quattro per uno gli altri cinque. Indi pubblicavansi nel gran consiglio i quaranta, che rimasti soli restringeansi a dodici, i quali n’ eleggevano venticinque, e i venticinque pubblicati riduceansi a nove, e i nove diventavano quarantacinque, per tornar di nuovo undici, che sceglievano gli elettori sino al numero di quarantuno. E questi in pieno consesso aveano la libertà di accusare il personaggio, proposto a doge, eli’ era introdotto a giustificarsi delle attribuitegli colpe, finché le palle di scarlatto con croce gialla, estratte dal bossolo con la bacchetta, portavano al numero di venticinque i suffragi dell’ eletto. La quale molliplicilà di ballottazioni poteva riguardarsi come mirabile opera dell’ limami accortezza, che ammettendo tante combinazioni for-