DELLA REPUBBLICA 295 dall’ utile dell’ erario, si rifletta all’ accorgimento della Re-, pubblica, che credeva di riposar sulla fede di chi avea mezzi per acquistar la carica, o di chi non avendoli li cercava, e mostrava così di meritare credenza presso chi glieli avesse accomodali. La vita del Baggietti vestì sempre il colore dei tempi; lu prospera finché arrise l’orizzonte alla sua patria, tempestosa sul tramonto, e grave finalmente di tante peripezie da riuscire, a chi vago fosse d’istoriarla, tela più presto da romanzo. Al primo mutarsi delle venete sorti dovette accettare un carico nella sua sfera, benché come capo, c lo tenne alquanto, finché altra umiliazione non conosceva che quella delle differenze, dalle prime speziose alle piìi basse ispezioni, ma quando gli veniva imposto sotto il governo I-talico di assumere assisa, affatto servile in faccia al pubblico, gli ricorreva alla mente il decoro del rango perduto, ed era quella un’ idea così fitta e incarnata nella sua niente e nel suo cuore, che per nobile orgoglio si sentì forte più presto a lasciare 1’ ufficio; nel qual atto la più gran parte rivelasi, e la più solenne, del suo maschio carattere. E come in questo tratto, fu in tutto il suo vivere, senipr’ eguale a sé stesso nella disuguaglianza dei tempi, quantunque di provata fede e sudditanza sotto tutti i governi. Toccò al Baggietti trovarsi nelle anticamere del ducale palazzo, allora che il troppo noto Andrea Spada ivi recavasì, col disegno di sorprendere la credulità del capo della Repubblica, e quando sveniva 1’ astuto popolano, all’ aspetto della maestà, che da ogni angolo spirava di quella reggia, e avea soverchiata la sua piccola non avvezza immaginazione, fu il Baggietti, che gli porse il bicchier d’ acqua, prima eli’ entrasse nella residenza del doveva esercitarla da sè. Fu abolito ogni impianto di gra\ezze, che correvano colle antiche redecime, per voto dei 4 scrivani e dell’ Eccellentissimo Fiscal del collegio.