LE CAMPANE 75 per riceverle; dalla qual epoca, come nota Leone Allazio, cominciarono i Greci bizantini a conoscerle e ad adoperarle. Sul quale fatto, da suo pari, riflette il Marin, che se in Venezia non vi fosse stata, o l’invenzione di quell’ arte o un raffinamento speciale di essa, non sarebbesi rivolto Basilio al doge di Venezia, ma a qualsisia mercante, onde presso le migliori fonderie combinare l’acquisto. Certo è che ben molte dovettero fiorire di tali officine in Venezia, rilevandosi da documenti antichi, che molto lucrarono fino dai primi tempi in questo ramo di commercio i Veneziani, anche cogli esteri, oltre di aver provveduto al decoro delle numerose loro chiese, cominciando dalla gran torre, la quale è se non una delle più alte del mondo, da poche almeno è superata, lavoro di 240 anni, sotto il governo di sette dogi, e serviente in comune per la basilica e la reggia ducale. Si sa pertanto, che, tranne il campa-none portatosi da Candia nel 4670, e otto anni dopo riposto sul campanile, per la festa dell’ Ascensione, si fuse tra noi anche la trottiera, il cui suono avvisava la nobiltà di ridursi in Consiglio; e traeva il nome dal trotto delle mulette, che dai varii sestieri recavano i patrizii alle rispettive sedi dei magistrati. Cosi si fuse in Venezia la marangona, indicante il levar del sole a norma degli operai dell’ Arsenale, in tal guisa forse denominata, perchè in origine ne avesse sostenuta la spesa un qualche individuo della nobile famiglia Marengo, giusta il Galliccioli, estinta in Giacomo, avvogador nel 4576. Ora ci rimane memoria per tradizione di una delle veechie fonderie ch’era situata al ponte in S. Marco, demolito nel 4837, come da lapide infissa sulla muraglia, quando venne interrato tutto il rivo circostante sull’ angolo ove vedesi adesso un lavo-rator di rimessi. Perciò chiamavasi il ponte delle Campane, a cui male assai affibbiavasi, nella rinnovazione delle nomenclature stradali, l’ozioso appellativo di Colonne, per