172 Novi schizzi dall’Adria albero, a tratti erboso, a tratti nudo e roccioso. Le zone di vegetazione sono invertite. Ora ecco spalancarsi il Canale dell’Arsa. La distanza da una cresta all’altra delle sponde va dai due ai cinque chilometri in linea visuale, mentre lo specchio del golfo conserva quasi dappertutto la larghezza d’un chilometro. Le ombre del crepuscolo convertono quell’ acqua in una massa plumbea ; sopra la nostra testa le nubi temporalesche prendono le loro posizioni strategiche. Sul fianco di mez^ zodl ormai romoreggia, come se gli squadroni delle pesanti artiglierie corressero a prendere posizione. Tosto s’impegna la mischia ; su tutta la linea guizzano i lampi, le salve rombano. Siamo su d’un pendio nudo, allo scoperto, eppure bisogna andar avanti intrepidi e calmi. Su in alto le nubi si rincorrono ; un tremendo fragore scote l’aria e tosto ci troviamo presi da un fuoco di fila : nella gragnuola. Per lungo e per largo non un tetto, non un asilo. Si marcia avanti per una strada eterna e sotto la grandine, instali' cabile vessatrice del nostro misero cranio. Finalmente ci si para dinanzi Pessacco, secondo la carta geografica, villaggetto con chiesa e scalo. Là secondo il piano prestabilito doveva attenderci un traghetto. At^ traverso la nebbia scorgiamo la chiesa: è in rovina; vediamo le case : sono rovine. Come seppimo più tardi, Pessacco fu abbandonato cinquant’ anni fa in causa della malaria ; per compenso i topografi lo lasciarono intatto sulla carta ! Ci affrettiamo a guadagnare la sponda. Non si vede traghetto di sorta e mi trovo col mio compagno nella condizione di Robinson. La palude c’impediva di proseguire lungo la sponda ; riprendere l’erta umida e lubrica, arram* picarsi su su in mezzo alle tenebre per pernottare a Barbana era una pillola da fare stringere i denti. Traghetto !... Traghettooo ! Si gridava a squarciagola e la voce si sper-