170 Novi schizzi dall’Àdria pubblicarono nel 1892-1893 a Parenzo coi tipi di Gaetano Coana. Dopo pranzo, lasciata la città prendiamo la strada, di Barbana all’Arsa. A sinistra sono qua e là gruppi di querce, residui della grande selva, assegnata nel 1551 alla città di Dignano, affinchè vi tagliasse la legna da bruciare rispettando però le piante riservate all’Arsenale. Ci addentriamo nella campagna pingue ed aperta ; sul terreno vellutato, rosso ed arsiccio, proietta ombre indefinite l’intreccio aereo dei pampini, smaglianti di colori autunnali ed onusti di grappoli dal cupo colore azzurro. I cavalli corrono e dinanzi ai nostri occhi sfilano vaghi i cordoni delle viti, i rami degli olivi, i culmi del mais, le verze incappucciate, il fogliame dei fichi ed il verde dei canneti ; altri gruppi di querce annose, mutando la scena, ci avvolgono nell’ ombra densa ; il vento strisciante sulle piante pruriginose del timo ne disperde per l’aria l’aroma penetrante. Usciti di là, s’entra in una distesa di pascoli cespugliati di ginepri, sparsi di gruppi d’agnella bianche o nere, brucanti. Qui l'occhio spazia lontano, senza ostacoli : di fronte la catena dei Vena, 1’ antico confine romano ; nello sfondo, ripida e corrugata la vetta del Monte Maggiore, più in là, verso levante, il panorama si chiude colle creste merlate dei monti d’Albona. Dal Canale dell’Arsa non ci divide che una serie di colline brulle e spelate, dietro alla quale è quel golfo che a guisa di fiord s’inoltra per venti chilometri nel paese. Quanto diverse saranno state una volta le condizioni di queste colline, disseminate di chiese e di case, ora dirute o cadenti ! Adesso invece il territorio di Barbana di 632 case ne conta 130 di abbandonate. Quanta desolazione ! Quanto più ci accostiamo all’orlo dell’altipiano tanto più la montagna giganteggia nello sfondo, quasi sporgesse fuori da una profonda incassatura. I raggi del sole occiduo stendono sui Vena un velo violaceo ; dietro le loro creste