era satura l’aria. Il generale sedeva all’ombra, sopra un tamburo e riceveva i rapporti. La foresta d’intorno, come in una nebbia, turchineggiava nel fumo della polvere : e laggiù, lontano — in una massa difforme, ma eternamente fiera e calma nella sua gala di nevi — si stendevano le montagne, e il Kasbek scintillava con la sua cima aguzza. E con segreta tristezza nel cuore, io pensavo : O misera creatura umana ! Che chiede essa mai ?... Limpido è il firmamento, e sotto il firmamento v’ è pur tanto spazio per tutti ! Invece, sempre... e inutilmente essa sola vive in guerra... Perchè?... * Galub* venne ad interrompere il corso dei miei pensieri. Battendogli sulla spalla — era egli mio camerata — gli domandai : « Come si nomina questo luogo? » Egli mi rispose : « Valerik », che tradotto in vostra lingua, sarà « Fiume della morte »; giustamente il nome gli fu assegnato dalle antiche genti... » « E... quanti potevano essere, presso a poco, i combattenti di oggi? » — « Un... settemila circa ». “ E... hanno perduto molti uomini i montanari ?... » “ Come saperlo?!... Perchè non li avete contati voi?... “ Basta... qualcuno ha detto qui : “ Se la ricorderanno di sicuro questa giornata di sangue !..» * Nome proprio in uso presso i Cecenzi.