M O R O S I N I balzarono in luce stati d’animo pericolosi ai fini medesimi della guerra, rivalità, egoismi e debolezze di capi combattuti tra la verità o il semplice dovere verso la patria, e la comprensibile aspirazione ad accrescere la gloria e la potenza delle proprie famiglie. Riferendo alla Signoria sulla battaglia, Alvise II Mocenigo, che l’aveva subita piuttosto che dominata e che vedendo le galeazze di Francesco Morosini impegnarsi a fondo aveva mandato loro l’ordine di ripiegare sul grosso senza considerare il possibile disastroso effetto morale di simile manovra, non dette sufficiente rilievo alla importanza tatticamente risolutiva dell’audacia della squadra delle galeazze e attribuì al proprio intervento, forse tardivo, il vistoso successo virtualmente già raggiunto dal valore di Morosini, di Lazzaro e di Tommaso Mocenigo. Egli poi, non considerando la responsabilità di capo del primo e ricordando troppo la consanguineità di Lazzaro, di Luigi e di Tommaso morto eroicamente, pareggiò il merito dei quattro ardenti giovani concludendo « che per le valorose incessanti azioni del Capitano delle galeazze Morosini e per la sopraggiunta del (suo) soccorso, furono i turchi costretti a ritirarsi col prendere a rimorchio la (galera) bastarda del Capitano pascia ». Accettando la versione di Alvise II Mocenigo il Senato deliberava che « li descritti nella nota inviata dal capitano generale » fossero ammessi 70