M O R O S I N I segnò il breve al Doge. Questi, levatosi in piedi, lo baciò; lo passò poi al suo segretario che lo lesse ad altissima voce. Momignor Conti ch’era intanto tornato al suo posto, ne uscì nuovamente, salì i gradini dell’altar maggiore, vi prese il pileo da un tavolo ov’era stato deposio con lo stocco, e lo consegnò a un sacerdote che lo impose al capo del Doge, pronunziando in latino la lunga fase rituale. Con il medesimo cerimoniale monsignor Conti fece pervenire al Doge lo stocco prima nudo, poi inguainato. Morosini, terminate le due investiture, si levò di capo il pileo, rimettendovi il corno ducale che aveva tenuto fino ad allora con le mani, sciolse dalla cintura lo stocco e affidò Tuno e l’altro al cancelliere Agostino Zen. Ascoltò quindi il Tedema; infine riformatosi il corteo, per la piazza e la piazzetta, sempre acclamatissmio dalla folla, risalì al suo appartamento, dopo essersi congedato ai piedi della scala dei Giganti dal nunzio e da monsignor Conti, ìestituitisi al palazzo pontificio di San Francesco con la scorta dei senatori e dei cavalieri della stola d’oro. Monsignor Conti fu regalato dal Doge di una ricchissima croce di diamanti; dal Senato di una fruttiera d’oro del valore di cc ducati mille, buona valuta i>. Il Senato medesimo deliberò che io stocco e il pileo restar dovessero « appresso sua Serenità, la quale abbia a goderli durante la sua vita che Iddio Signore lungamente preservi e prosperi con 298