XIII. — L'ELEZIONE A DOGE nio segreto e con almeno venticinque voti, il novello principe. In genere coleste operazioni riflettevano le tendenze del Maggior Consiglio, le lotte tra partigiani delle candidature in gioco; divenivano adunque lunghe, studiate, combattute, quando non si pensava addirittura ad insidiarne la genuinità. Nel caso presente esse procedettero rapidissime; e non appena insediati, i quarantuno riversarono unanimi i loro suffragi su Francesco Morosini. La nomina fu acclamata in città e appresa fuori con profonda soddisfazione. L’ambasciatore Cesareo si affrettò a dichiarare « non potersi cingere di corona tempia più degne di queste che erano ghirlandate di alloro, nè consegnarsi più rettamente lo scettro che a quella mano che per la patria aveva così fruttuosamente e gloriosamente impugnata la spada ». L’ambasciatore di Francia soggiunse che si era elevato al trono « il maggior conquistatore del tempo, e il più meritevole ». Il Papa, avanti ancora di averne partecipazione dall’ambasciatore veneto, lo mandò a chiamare per essere « il primo ad esaltar il merito, la gloria e la giustizia dell’elezione al supremo grado della patria di chi aveva tanto e così felicemente operato per l’ingrandimento della medesima ». Alla corte di Luigi XIV il giubilo fu « quale poteva esserlo nella Dominante ». Ammesso l’ambasciatore veneto al levar del Re, questi esclamò che « la Re- 269